Bambini palestinesi di 4 anni in commissariato a Gerusalemme
GERUSALEMME. La polizia israeliana nega e sostiene di aver convocato solo i genitori, senza la presenza dei figli. Ma i palestinesi insistono e denunciano che negli ultimi giorni due bambini, Qais Obaid e Mohammed Elayyan, rispettivamente di sei e quattro anni, sono stati convocati assieme ai genitori alla stazione di polizia di via Salah Edin, l’arteria principale della zona araba di Gerusalemme.
Entrambi sono accusati di aver lanciato sassi contro i poliziotti che da settimane presidiano Issawiya, un sobborgo di Gerusalemme Est dove la tensione resta alta dopo l’uccisione a fine giugno di un giovane palestinese, Mohammed Obeid, sospettato di aver lanciato un petardo contro una jeep della polizia.
La madre di Qais ha raccontato ai giornali locali che martedì suo figlio era davanti casa con altri bambini. Dopo il lancio di qualche sasso, i poliziotti hanno fatto irruzione nella sua abitazione minacciando di arrestare il bambino.
«Qais si è nascosto sotto il letto per la paura – ha aggiunto – ed è rimasto lì sino a quando sono andati via. I poliziotti mi hanno lasciato un foglio con la convocazione per le otto del giorno dopo del bambino, accompagnato dal padre, per le indagini sull’accaduto».
Non tanto diversa è la storia raccontata dai genitori del piccolo Mohammed Elayyan. Il padre però prima di andare dalla polizia ha avvertito la stampa creando una forte attenzione, almeno quella dei media palestinesi, sulla vicenda del bambino. E assieme a loro c’erano decine di abitanti di Issawiya.
La polizia perciò ha annullato la convocazione e smentito di aver richiesto la presenza di Mohammed. «Volevamo soltanto avvertire il padre – ha detto un portavoce – che il figlio si era messo in pericolo e che in futuro lo sorvegliasse meglio». Un tono amichevole da polizia nordeuropea che si riscontra ben poco da queste parti dove, lo denunciano i centri per i diritti umani e lo confermano filmati girati in Cisgiordania e a Gerusalemme Est, soldati e poliziotti israeliani usano spesso le maniere forti con i minori palestinesi.
A Hebron in più di una occasione sono stati inseguiti e fermati ragazzini sospettati di «reati» contro la sicurezza. La Palestine Prisoner’s Society lo scorso aprile ha pubblicato un rapporto in cui afferma che dal 2015 le forze militari israeliane hanno arrestato circa 6mila minori palestinesi.
Commentando i casi di Qais Obaid e Mohammed Elayyan, l’Organizzazione per la liberazione della Palestina (Olp) ha accusato Israele «di voler terrorizzare il popolo palestinese». E ha sottolineato che Israele «viola le convenzioni internazionali perché gode del sostegno degli Stati uniti e del silenzio della comunità internazionale».
E proprio gli Stati uniti, reduci dalla fallimentare conferenza economica sulla Palestina (che si è svolta senza i palestinesi) tenuta a fine giugno in Bahrain, ora si preparano a tornare sulla scena diplomatica. Secondo il quotidiano israeliano Yediot Ahronot, Donald Trump intende organizzare a Camp David una «conferenza di pace» a cui saranno invitati i leader arabi alleati degli Usa e che dovrebbe tenersi prima del voto israeliano del 17 settembre, in modo da aiutare la rielezione del suo alleato Benyamin Netanyahu.
In questo contesto il premier israeliano due giorni fa, oltre ad annunciare la costruzione di altri 6mila alloggi per coloni ebrei nei Territori palestinesi occupati, ha concesso, tra le proteste dell’ala più radicale del suo governo di destra, la possibilità per i palestinesi di edificare 715 abitazioni nell’area C (il 60% della Cisgiordania sotto occupazione).
* Fonte: Michele Giorgio, IL MANIFESTO
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