Ursula von der Layen presidente della Commissione per pochi voti

by Anna Maria Merlo * | 17 Luglio 2019 9:15

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La ministra (dimissionaria) della difesa tedesca eletta con 383 sì, appena nove voti di scarto rispetto alla maggioranza necessaria

La Commissione europea per la prima volta ha una presidente donna. Ursula von der Leyen, ex ministra della Difesa tedesca, Cdu, vicina a Angela Merkel, proposta a sorpresa all’inizio di luglio dal Consiglio europeo dopo alcuni summit andati a vuoto, è stata confermata dal voto del Parlamento europeo ieri sera. Ma è passata di misura: 383 voti a favore, 327 contro. La maggioranza era di 374 voti (4 in meno del 2014, perché 3 catalani sono bloccati, un danese è stato nominato ministro e non è ancora stato sostituito), solo 9 voti di scarto. Dobbiamo «lavorare tutti assieme» sono le prime parole pronunciate da Ursula von der Leyen dopo il difficile scrutinio. La prima donna presidente entrerà in carica il 1° novembre, il giorno dopo il Brexit definitivo, almeno stando all’ultima scadenza.

È la presidente della Commissione eletta con la più precaria maggioranza della storia europea. Passa quindi, anche se senza entusiasmo, tutto il «pacchetto» dei top jobs: Frans Timmermans (S&D) e Margrete Vestager (Renew Europe) – bisogna ancora precisare se a eguale rango – come vice-presidenti, il socialista spagnolo Josep Borrell come Mr.Pesc, il liberale belga Charles Michel presidente del Consiglio europeo, e la francese Christine Lagarde alla Bce.

FINO ALLA VIGILIA, serpeggiavano dubbi sull’elezione di Ursula von der Leyen. Il predecessore, Jean-Claude Juncker, era stato eletto con 422 voti. Ma dal 2014 a oggi il mondo – anche europeo – è cambiato. Il Parlamento europeo non è più dominato da due gruppi politici, Ppe e S&D. Ormai, l’alleanza «europeista» è a tre, con Renew Europe. Uno schieramento a cui possono aderire i Verdi, ma che non ha funzionato in questa elezione, né all’interno della «triade» né nelle aperture all’esterno. I Grünen hanno preso le distanze dalla conservatrice Ursula von der Leyen, che non è riuscita a convincerli neppure con il discorso ad ampio raggio di promesse di ieri mattina a Strasburgo, dopo un incontro precedente con il gruppo ecologista che si è mal concluso.
I liberali sono stati un po’ raffreddati dall’apertura a un ennesimo rimando del Brexit, oltre l’ultima scadenza del 31 ottobre prossimo. Ufficialmente S&D, secondo le dichiarazioni della capo-gruppo, la spagnola Iratxe Garcia, aveva deciso di votare a favore, grazie agli «impegni scritti della candidata per attuare le riforme progressiste richieste dal nostro gruppo». Iratxe Garcia ha ammesso fino all’ultimo che «eravamo molto scettici» e alla fine molti socialdemocratici lo sono rimasti. In particolare i 16 eurodeputati dell’’Spd tedesca avevano diffuso un testo molto critico su von der Leyen, «inadeguata e inopportuna» alla presidenza della Commissione. Anche i socialisti francesi hanno votato contro, per ragioni di politica interna: von der Leyen è stata il coniglio che Macron ha tirato fuori dal cappello per evitare una crisi all’ennesimo vertice, il 3 luglio, e quindi il Ps, che a Parigi è all’opposizione, non ha voluto fare un favore al presidente. Anche l’Spd ha in testa questioni di politica interna. Il Psoe spagnolo ha votato a favore, perché Pedro Sanchez ha piazzato Josep Borrell come Mr.Pesc.

L’ESTREMA DESTRA di ID (dove c’è la Lega) contro, facendo un gran regalo alla conservatrice tedesca, che avrebbe dovuto gestire una macchia originaria nella sua elezione. «Il nostro gruppo ha diverse ragioni per votare contro – ha spiegato il francese del Rassemblement national, Nicolas Bay – soprattutto per le posizioni che ha preso stamattina in aula, chiaramente delle garanzie per socialisti e liberali», ostili alle frasi sul «Mediterraneo diventato una delle frontiere più letali al mondo» e sull’«obbligo in mare di salvare vite».

LA COALIZIONE DI GOVERNO italiana si spacca, il M5S ha votato a favore. Anche nel Ppe, il suo gruppo, ci sono stati malumori. Lo sfortunato Spitzenkandidat, Manfred Weber, escluso perché considerato «inadeguato» (a cominciare da Macron), ancora ieri ha parlato della propria esclusione come un «danno per la democrazia».

Nel discorso all’aula, in mattinata, Ursula von der Leyen si è rivolta soprattutto a socialisti e verdi. Con diverso successo. Il Green deal che ha proposto agli ecologisti è caduto nel vuoto. «Troppa vaghezza nelle sue affermazioni» ha commentato Philippe Lamberts. Von der Leyen si è impegnata a varare la «prima legge europea sul clima» nei primi 100 giorni, con la prospettiva di una neutralità carbone nel 2050 e riduzioni di emissioni ad effetto serra «del 50% se non del 55%» entro il 2030. Nel programma della candidata c’è la trasformazione della Bei in una «banca del clima», con investimenti per mille miliardi nei prossimi 10 anni, oltre alla promessa di mettere una carbon tax alle frontiere europee e stanziare un «fondo di transizione» per le regioni che pagheranno di più l’adattamento economico. Queste concessioni sono state rivolte anche a S&D ed hanno avuto maggiore successo. Ai socialisti, Ursula von der Leyen ha promesso «utilizzare tutta la flessibilità possibile permessa dalle regole del patto di stabilità», oltre a una tassazione per le multinazionali. Nel programma della nuova presidente della Commissione c’è il salario minimo in Europa (diverso evidentemente tra paesi) e una garanzia europea per il sussidio di disoccupazione (per i paesi in controtendenza, che devono affrontare una crisi). Alla sinistra ha concesso l’impegno per arrivare a un diritto di asilo europeo e all’Europarlamento in generale la promessa di un diritto di iniziativa legislativa. E di triplicare i fondi per l’Erasmus.

LA STRADA DI URSULA von der Leyen verso la presidenza della Commissione è stata spianata dall’annuncio delle dimissioni del potente Martin Salmayr, segretario generale, capo dello staff, che lascerà la prossima settimana: uomo potentissimo, non poteva esserci un altro tedesco ai comandi.

* Fonte: Anna Maria Merlo, IL MANIFESTO[1]

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