Un mondo alla rovescia. Rifugiati e asilo al tempo dei populismi

by Orsola Casagrande, dal 16° Rapporto sui diritti globali | 13 Luglio 2019 7:04

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Dal 16° RAPPORTO SUI DIRITTI GLOBALI[1] – Un mondo alla rovescia

3° Capitolo: INTERNAZIONALE, DIRITTI E CONFLITTI

Il Focus – LA SINTESI

 

Rifugiati e asilo al tempo dei populismi

Migranti. Il Mediterraneo è la fossa comune scavata nella e dalla democratica Europa. In mare tra il 1° gennaio e il 29 agosto 2017 sono morti 1.236 migranti e nello stesso periodo del 2018 ne sono morti ben 2.308: dunque, al blocco dei porti e a meno arrivi è corrisposta un’impennata dei rischi e delle morti. I dati dell’UNHCR indicano che, alla fine del 2017, a livello mondiale erano 68,5 milioni le persone costrette alla fuga a causa di persecuzioni, guerre e violenze (erano 65,6 milioni nel 2016). In quella cifra sono inclusi 25,4 milioni di rifugiati, il cui numero è cresciuto di 2,9 milioni rispetto al 2016; tra i 68,5 milioni vi sono poi 40 milioni di sfollati interni e 3,1 milioni di richiedenti asilo. Dunque, quasi tre milioni di persone in più in un anno costrette a fuggire, da Paesi ormai “abituali” ma anche da nuovi territori. In particolare, il 2017 ha registrato un aumento di sfollati provenienti dalla Repubblica Democratica del Congo e dal Myanmar. In 10 anni la popolazione in fuga è aumentata del 50%, passando dai 42,7 milioni del 2007 ai 68,5 milioni del 2017. Ogni giorno nel 2017 44.400 persone sono state costrette a fuggire dalle loro case; è il numero più alto dal 2014. Una persona su 110 oggi è sfollata, dieci anni fa lo era una su 157. Il 68% dei rifugiati proviene da soli cinque Paesi, tutti in guerra o comunque con forti e sanguinosi conflitti interni. La Siria continua a essere il Paese con la cifra più alta di persone costrette a lasciare le proprie case. Alla fine del 2017 si registravano 12,6 milioni di sfollati, compresi 6,3 milioni di rifugiati, ovvero quasi un terzo del totale mondiale. L’Afghanistan è il secondo Paese di provenienza dei rifugiati: 2,6 milioni di persone (il 5% in più rispetto al 2016). Il terzo Paese, nonché quello che ha registrato il maggior aumento di rifugiati nel corso del 2017, è il Sudan del Sud: all’inizio dell’anno erano 1,4 milioni e alla fine 2,4 milioni. Al quarto posto si trova il Myanmar, che ha più che raddoppiato il numero di popolazione rifugiata alla fine del 2017, passando da meno di mezzo milione a 1,2 milioni.

I minori. Nel 2017 sono stati 45.500 i minori non accompagnati e separati che hanno chiesto asilo in 67 Paesi. Si tratta di un numero per difetto, ma che ha registrato un calo rispetto al 2016, quando le richieste di asilo erano state 75.000. La maggior parte delle richieste è stata fatta da minori tra i 15 e i 17 anni (33.300), mentre 12.200 sono state le richieste presentate da ragazzi di 14 anni o meno. Il numero di minori non accompagnati che hanno richiesto asilo in Italia, sempre nel 2017, è stato il più alto, con ben 9.900 richieste, il 68% in più rispetto al 2016. Si stima che siano arrivati in Italia, via mare, 15.800 minori. Il numero maggiore di richieste è stato presentato da ragazzi provenienti da Gambia (2.100), Nigeria (1.200), Bangladesh (1.100), Guinea (1.000).

I Paesi con più rifugiati. Alla fine del 2017 è la Turchia il Paese con il più alto numero di rifugiati al mondo, passati dai 2,9 milioni del 2016 ai 3,5 milioni alla fine del 2017 (+21%). La maggior parte dei rifugiati in Turchia proviene dalla Siria (3.424.200 persone). Il Pakistan è il secondo Paese di accoglienza dei rifugiati: 1,4 milioni di persone (+3% sul 2016). L’Uganda è il terzo Paese, con 1,4 milioni di rifugiati provenienti soprattutto dalla Repubblica Democratica del Congo (+44% rispetto al 2016). Il Libano è il quarto Paese, con poco meno di un milione di rifugiati accolti, di cui quasi 993 mila siriani. Per trovare un Paese europeo bisogna scendere al sesto posto. La Germania ha una presenza di 970.400 rifugiati, +45% rispetto al 2016.

La politica europea. Al vertice europeo del 28 e 29 giugno 2018 è apparsa evidente la divisione tra i vari Stati riguardo le politiche sui migranti e il regolamento di Dublino, tanto che la conclusione è stata ribadire la repressione e le “trincee”. La proposta operativa è stata di suggerire alla Commissione Europea di esplorare l’ipotesi di piattaforme di sbarco regionali. Una sorta di hotspot in Paesi terzi come Libia, Algeria, Egitto, Marocco, Tunisia e Niger (dove la Francia ha già iniziato a esaminare le richieste di asilo e l’Italia inviato una missione militare), nei quali trattenere e identificare i migranti. Il 20 luglio 2018 Fayez al-Sarraj, primo ministro del governo libico di accordo nazionale (riconosciuto dall’ONU nel 2015), ha però gelato gli entusiasmi e le aspettative europee. Agli inizi di luglio l’Europa aveva stanziato circa 29 milioni di euro per i centri per i migranti “bloccati” in Libia e gestiti con UNHCR e IOM. Altri 55 milioni per il controllo delle frontiere marittime congiunto tra Italia, Tunisia e Marocco.

L’Italia dichiara guerra alle ONG. La vicenda che è diventata il simbolo della guerra di alcuni governi, e di Frontex, contro le ONG è stata quella della nave Aquarius dell’organizzazione SOS Mediterranée, respinta dall’Italia il 10 giugno 2018 mentre cercava di attraccare con 630 persone a bordo, salvate dopo un naufragio al largo della Libia il giorno precedente. Il ministro dell’Interno Salvini ha sostenuto che la nave sarebbe dovuta andare a Malta, le cui autorità hanno rifiutato lasciando i migranti in mezzo al mare. La soluzione è infine arrivata dal neonato governo spagnolo, sotto la guida del socialista Pedro Sánchez che ha concesso l’accoglienza all’Aquarius a Valencia dove l’equipaggio e i migranti sono giunti il 17 giugno otto giorni dopo il salvataggio. Uno dei tanti episodi che rendono plateale un rovesciamento di senso avvenuto progressivamente in Europa e, sempre di più, in Italia: chi salva vite umane (oltretutto, obbedendo a quelle che sono le leggi del mare e le convenzioni internazionali) viene criminalizzato e ostacolato, diffamato quale “complice degli scafisti”, inquisito da procure.

Le rotte del Mediterraneo. La migrazione attraverso il Mediterraneo è diminuita rispetto al 2016, specialmente sulla rotta orientale e anche su quella del Mediterraneo centrale. In Italia nel 2017 ha continuato a sbarcare la maggioranza dei rifugiati: 119.369 secondo il ministero degli Interni, quasi tutti provenienti dalla Libia. Dal 1° gennaio al 14 settembre 2018 gli sbarchi registrati sono stati 20.597, di cui 12.322 in arrivo dalla Libia. I porti maggiormente interessati dagli sbarchi restano quelli di Pozzallo, Catania, Augusta, Messina. I migranti sbarcati in Italia fino al 31 agosto 2018 erano per la maggior parte di nazionalità tunisina (3.729, il 19%), eritrea (3.027, il 15%), sudanese (1.595, il 8%), nigeriana (1.248, il 7%), pachistana (1.237, il 6%), irachena (1.150, il 6%). Al riguardo va ricordato l’accordo intervenuto tra l’Unione Europea e la Turchia per il trattenimento dei rifugiati in fuga dalla Siria. Avviato a marzo 2016 e rinnovato due anni dopo, con il versamento di una seconda tranche per un totale di sei miliardi di euro, nonostante la sempre più accentuata involuzione autoritaria e antidemocratica di quel Paese. Sull’utilizzo di quei fondi inchieste giornalistiche documentano zone grigie e opache come pure pressioni sulle ONG da parte del governo turco. La collaborazione delle ONG è infatti necessaria, poiché le regole UE prevedono che i fondi umanitari, in cui rientrano anche quelli dell’accordo con la Turchia, possano essere ricevuti solo da enti con sede in un Paese europeo.

Secondo i dati Frontex, nel 2017 ci sarebbero stati 204.300 attraversamenti di frontiera verso l’Europa, il 60% in meno che nel 2016. La Spagna ha registrato l’arrivo del doppio del numero di migranti alla sua frontiera nel Mediterraneo occidentale; si tratta del numero di arrivi più alto da quando Frontex ha cominciato a raccogliere i dati, nel 2009. Vale a dire che se i flussi vengono ostacolati in un punto, in questo caso l’Italia, semplicemente si spostano, ma non scompaiono. I migranti giunti alle frontiere spagnole dal Nord Africa sono stati 22.900. La situazione nella regione del Rif del Marocco, la via principale per i migranti che cercano di raggiungere la Spagna, ha fatto sì che aumentassero le partenze dalla costa occidentale, specie nella seconda metà del 2017. Quasi il 40% dei migranti giunti alle frontiere spagnole erano di nazionalità algerina e marocchina. Il resto giungeva dai Paesi dell’Africa Occidentale. La rotta del Mediterraneo orientale si è mantenuta nel 2017 sostanzialmente agli stessi livelli del 2016 e questo nonostante l’accordo con la Turchia. In totale, sono stati registrati 41.700 arrivi, sia via mare sia via terra, un quarto in meno che nel 2016. In particolare, gli arrivi in Grecia lungo questa rotta hanno riguardato cittadini con nazionalità siriana e irachena. Nel 2018, a luglio, sono arrivate circa quattromila persone, il 17% in meno che in giugno. Questa rotta è stata seguita da 29.500 persone nei primi sette mesi del 2018, soprattutto da cittadini provenienti da Siria e Iraq, ma anche da Afghanistan. Quella del Mediterraneo centrale, dopo essere stata la rotta privilegiata, ha subito un calo considerevole nei passaggi, specialmente dopo l’accordo della UE con la Turchia del marzo 2016. Se nei primi sei mesi del 2017 gli arrivi si erano mantenuti ai livelli del 2016, da luglio sono crollati drasticamente. Il totale di persone arrivate per questa via nel 2017 è stato di 119 mila. Uno ogni sette migranti era di nazionalità nigeriana, seguiti da Guinea e Costa d’Avorio. Quest’anno il calo è proseguito, in luglio, in Italia gli arrivi sono stati 1.900, cioè l’83% in meno rispetto a luglio 2017. Il totale di migranti registrati nei primi sette mesi del 2018 è crollato dell’81% rispetto allo stesso periodo del 2017, fermandosi a 18.200 persone, soprattutto cittadini tunisini ed eritrei.

La Fortezza Europa e il suo guardiano, Frontex. Il Consiglio Europeo del 27 e 28 giugno 2018 ha confermato, tra le altre cose, la riforma di Frontex. Jean-Claude Juncker ha annunciato una proposta di legge che, una volta approvata, dovrebbe trasformare l’agenzia Frontex in una vera e propria Guardia europea per presidiare le frontiere esterne dell’Unione attraverso il dispiegamento di ben 10 mila uomini in più, che dovrebbero arrivare in parte (7.000) da Paesi membri e in parte da nuove assunzioni ad hoc e da accordi politici con i Paesi extra EU. Le nuove guardie dovrebbero essere schierate già nel 2020 e non nel 2027 come inizialmente previsto.

La Commissione Europea ha proposto di triplicare i finanziamenti per la migrazione e la gestione delle frontiere per il prossimo bilancio a lungo termine della UE (2021-2127), da 13 miliardi di euro a 34,9 miliardi per realizzare le seguenti priorità politiche: rendere più sicure le frontiere esterne, continuare a concedere protezione a coloro che ne hanno bisogno, sostenere maggiormente la migrazione legale e gli sforzi d’integrazione, contrastare la migrazione irregolare, e rimpatriare in modo efficiente chi non ha diritto di soggiornare sul territorio dell’UE.

Un asilo sempre più difficile e negato. Ma anche una volta sbarcati, la strada è tutta in salita. Ottenere asilo politico rimane molto complicato. Le nuove politiche in materia di immigrazione varate in molti Paesi europei confermano una stretta che rende sempre più arduo per i rifugiati vedersi riconoscere come tali. Nel 2017 vi erano 1,9 milioni di richieste di asilo presentate ai vari Stati. Questo dato registra una flessione rispetto al 2016, allorché le richieste pendenti erano state 2,2 milioni. Il numero di rifugiati in attesa di risposta di asilo nel 2017 è stato pari a 3,1 milioni, rispetto ai 2,8 milioni del 2016. A livello globale (cioè combinando le procedure di asilo dell’UNHCR e degli Stati), la percentuale di decisioni risultanti in qualche forma di protezione è stata del 49%. Una cifra decisamente più bassa che nel 2016, quando era stata del 60%.

Nel 2017 al primo posto per nuove richieste di asilo ricevute troviamo gli Stati Uniti (331.700 persone), al secondo la Germania (198.300), al terzo l’Italia (126.500), al quarto la Turchia (126.100), al quinto la Francia (93.000) e al sesto l’Uganda (57.300), all’ottavo la Grecia (57.000), al nono il Canada (47.800) e al decimo la Tanzania (36.500). La riduzione nelle domande di asilo è stata piuttosto evidente in Germania, ben il 73% in meno che nel 2016, quando erano state 722.400, ma che pure rimane al secondo posto. Anche nel 2017 il più alto numero di domande è stato quello di cittadini provenienti dalla Siria (49.000). Un numero comunque drasticamente inferiore alle 266.300 domande presentate nel 2016. Rispetto al 2016, hanno richiesto asilo più cittadini iracheni (21.900) che afghani (16.400). Le domande degli iracheni comunque sono diminuite del 77% rispetto al 2016, mentre quelle degli afghani dell’87%.

Al terzo posto per numero di richieste di asilo, si trova l’Italia, con 126.500 nuove richieste. Leggermente superiori al 2016, quando erano state 123.000. Come già nel 2016, il maggior numero di richieste proviene da cittadini nigeriani (21.500), seguiti nel 2017 da cittadini del Bangladesh (12.200), quasi il doppio rispetto all’anno precedente. Per la prima volta dal 2013 i siriani non sono stati al primo posto per numero di richiedenti asilo, sorpassati dagli afghani. Al terzo posto rimangono gli iracheni, al quarto come visto i venezuelani, al quinto la Repubblica Democratica del Congo.

La politica sull’immigrazione secondo Trump. Donald Trump aveva fatto dell’immigrazione un punto centrale durante la sua campagna elettorale, di fatto offrendo su questo tema un’agenda politica assai più dettagliata che su qualunque altro tema. Tra le azioni principali prese dall’Amministrazione Trump da gennaio 2017 c’è la proibizione a cittadini di otto Paesi, in maggioranza musulmani, di entrare negli USA; la riduzione ai minimi storici del numero di rifugiati ammessi dal 1980; aumento di arresti di migranti non autorizzati all’interno degli USA. Per quel che riguarda il numero di profughi accolti annualmente dagli USA c’è stata una seria riduzione rispetto al tetto stabilito dall’ex presidente Obama che, riconoscendo la crisi mondiale dei profughi, aveva portato nel 2016 a 85 mila il numero di migranti accolti. Nel 2017 era arrivato a 110 mila. Trump ha invertito la tendenza adducendo problemi di sicurezza. Così, la nuova Amministrazione nel 2017 ne ha accolti 53.716. Nel 2018 il numero è stato ulteriormente ridotto, arrivando a 45 mila. Inoltre, il Dipartimento di Giustizia e il Dipartimento di Sicurezza nazionale hanno implementato la politica di “tolleranza zero” al confine con il Messico. L’aspetto più controverso di questa politica è stata la separazione dei bambini migranti dai loro genitori, posto che i minori non possono essere detenuti. I bambini sono stati così ospitati in sistemazioni gestite da un’altra agenzia. Le immagini dei bimbi in gabbia hanno fatto il giro del mondo.

I rifugiati ambientali. Il Parlamento Europeo ha approvato il 16 gennaio 2018 una importante risoluzione sulle donne, le pari opportunità e la giustizia climatica. In particolare, al punto 34 si legge: «Il Parlamento chiede che lo sfollamento indotto dal clima venga preso seriamente; è aperto a una discussione sull’adozione di una disposizione sulla “migrazione climatica”; chiede di istituire un gruppo di esperti per valutare tale questione su scala internazionale e chiede che la tematica della migrazione climatica sia iscritta all’ordine del giorno a livello internazionale; chiede una cooperazione internazionale rafforzata al fine di garantire la resilienza climatica». Nel 2017 il 39% degli spostamenti forzati di persone sono stati causati dai conflitti e violenze, mentre il 61% da disastri naturali. Si tratta di almeno 18,8 milioni di persone in 135 Paesi e territori costrette a lasciare le loro case a causa di disastri ambientali. Solo le alluvioni sono state responsabili dello spostamento di 8,6 milioni di persone, e le tempeste, soprattutto cicloni tropicali di 7,5 milioni. Il flusso migratorio interno, da qui al 2050, potrebbe così riguardare 86 milioni di persone in Africa, 40 milioni in Asia del Sud, 17 milioni in America Latina. Negli scenari previsti dalla Banca Mondiale, gli impatti sistemici provocati da quegli spostamenti interni biblici sarebbero gravissimi, accentuando le disuguaglianze e determinando possibili rovesciamenti politici.

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