Somalia. Una strage alla vigilia di un voto cruciale

by Rachele Gonnelli * | 14 Luglio 2019 13:03

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Ad agosto le elezioni nello Stato del Jubaland e al momento dell’attentato nell’albergo era in corso una riunione per le candidature

Aveva un sorriso travolgente che sottolineava con un tocco leggero di lucidalabbra, Hodan Naleyah, la personalità più in vista tra le 26 vittime del tremendo attentato che ha semi distrutto l’hotel Asasey nel cuore della città portuale di Kismayo nel sud della Somalia.

HODAN era una giovane giornalista, 43 anni e due figli piccoli, ed era tornata da pochi anni in Somalia dal Canada dove era cresciuta dall’età di sei anni per portare il suo «giornalismo del sorriso» – così lo definiva – attraverso il suo video-blog su Integration tv. Non una semplice emittente televisiva delle tante che trasmettono in Somalia ma anche un modo che aveva trovato – l’aveva fondata in Canada – per raccontare storie della diaspora somala nel mondo e ora anche per raccogliere fondi per progetti di empowerment femminile e di formazione, come la scuola che stava progettando. Nei tweet raccontava l’entusiasmo per questo lavoro: era tornata per aiutare la gente del suo paese di origine, per cercare di rimetterlo in sesto, modernizzarlo senza tradirlo. «Era una bella persona, una stella brillante», l’ha ricordata ieri il collega della Bbc Farham Jimale. E il ministro Ahmed Hussein l’ha descritta come «la voce di molti, lei era la parte migliore del popolo e della sua terra, la Somalia».

Quando aveva fatto ritorno non era tornata però nello Stato del Somaliland da cui proveniva la sua famiglia, ma nel Jubaland, a Kismayo appunto, dove si trovava a vivere con il marito Farid Jama, ministro del commercio là, morto con lei nell’attentato di venerdì che ha preso di mira l’hotel storico della città, un palazzetto in stile coloniale scelto come residenza da intellettuali e politici locali oltre che da stranieri più o meno di passaggio. Nell’attentato dell’hotel Asasey infatti hanno trovato la morte anche due cittadini americani, un britannico, tre keniani, tre tanzaniani. Quando il conducente dell’auto imbottita di esplosivo si è fatto esplodere all’ingresso dell’albergo, dentro era in corso un incontro con rappresentanti di famiglie e clan locali per le candidature alle elezioni del Jubaland previste ad agosto.

DOPO L’AUTOBOMBA un commando di uomini armati è entrato in azione nell’hotel sparando all’impazzata. Ci sono volute addirittura dodici ore di scontri a fuoco alle forze fedeli al presidente del Jubaland attualmente in carica, lo sceicco Ahmed Madobe: la milizia Ras Kamboni che secondo il sito Africa Confidential ha arruolato anche tanti disertori dei gruppi terroristici denominati Al Shabab. Quando l’albergo è tornato sotto il controllo delle forze governative il conto dei morti è risultato pesante: 26 vittime, tra cui la giornalista e il marito, e solo altri tre assalitori, oltre al kamikaze alla guida dell’autobomba, uccisi dalle forze di sicurezza. Gli Shabab hanno rivendicato l’attacco, il più sanguinoso degli ultimi mesi e il primo a Kismayo dal lontano 2012. Ma secondo la giornalista italo-somala Shukri Said non è così semplice attribuire le responsabilità di un blitz così «politico» alla vigilia di una votazione cruciale. «Gli Shabab, un po’ come l’Isis, si intestano tutto – spiega – ma dietro questa sigla si possono nascondere gruppi diversi, anche vecchi politici legati ai Signori della guerra o alle vecchie Corti islamiche, che non vogliono che la Somalia cambi o che non vogliono perdere il loro potere a volte sponsorizzato da lobby e potenze straniere».

UN BRACCIO DI FERRO è attualmente in corso in Somalia tra il governo centrale di Mogadiscio – retto dal presidente Mohamed Abullahi Mohamed , meglio conosciuto con il soprannome di «Farmajo» – e gli stati che compongono la Repubblica federale della Somalia (Puntland, Galmudug, HirShabelle e Jubaland, più lo Stato autonomo del Somaliland). Ai primi di maggio la conferenza intra-somala convocata a Garowe, nel Puntland, è finita senza un accordo. E tra i punti di contrasto, oltre ai ritardi per la revisione costituzionale e sulla data delle prossime elezioni federali, c’era soprattutto la nuova legge sul petrolio, varata subito dopo la conferenza di Garowe, che attribuisce l’autorità di rilasciare le concessioni per l’esplorazione dei nuovi giacimenti – scoperti nel Puntland, nel Galmudug e nel mare – a Mogadiscio e una percentuale dei proventi più alta al governo centrale rispetto a quelli regionali. Per uno Stato che deve ricostruirsi di sana pianta, dalla scuola alle poste alla banca centrale.

* Fonte: Rachele Gonnelli, IL MANIFESTO[1]

photo: AMISOM Public Information [CC0]

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  1. IL MANIFESTO: https://ilmanifesto.it/

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