Migranti. Protesta nel campo libico di Zawiya: «Siamo scudi umani, salvateci»

by Rachele Gonnelli * | 6 Luglio 2019 8:24

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«Siamo scudi umani» «Siamo noi le vittime della guerra», «Salvateci, grazie Carola, ma dov’è l’Unhcr?». Sono seduti per terra, accucciati a centinaia all’ombra di un muro, uno vicino all’altro – donne velate, uomini e bambini, tutti neri, con sguardi spauriti, spenti – tengono in silenzio questi striscioni fatti di piccoli teli che si agitano a una lieve brezza. È la protesta dei prigionieri del centro di detenzione di Zawiya sulla costa della Tripolitania, andata in scena la sera di giovedì e rittwittata ieri in un video dal sito Exodus Fuga dalla Libia che raccoglie le voci e i racconti dei migranti. Alcuni sono stati trasferiti lì dopo l’evacuazione del centro di Qasr Bin Ghashir, chiuso due mesi fa dopo il raid di un gruppo di miliziani all’interno.

LA PRIGIONE DI ZAWIYA si trova in un luogo meno esposto, al momento, rispetto al centro di detenzione di Tajoura finito sotto le bombe tre giorni fa e reduce della più sanguinosa strage di civili dell’inizio del nuovo conflitto. Ma le condizioni di vita all’interno sono peggiorate ulterioremente negli ultimi giorni e il centro di Tajora bersagliato dai raid sembra un brutto precedente.

Il centro di Zawiya è gestito da una milizia con a capo un comandante jihadista chiamato Osama, da tempo dedito al traffico di esseri umani in combutta con la Guardia costiera di Serraj e ha permesso la protesta perché – come spiega il regista Michelangelo Severgnini di Exodus dal confine tunisino dove sta realizzando un film-documentario – «evidentemente non riesce più a gestire il centro, sono troppi, e poi probabilmente cerca di accreditarsi verso Haftar, sa che se arrivano a Zawiya le truppe del generale della Cirenaica, il primo che fanno fuori è lui». «Prima di pubblicare questo video – racconta Severgnini – ho chiesto a loro se non temevano rappresaglie. “No, Osama era davanti a noi”, mi hanno risposto, “era lui che ci filmava”, hanno aggiunto».

L’UNHCR in verità ha battuto un colpo. L’inviato speciale per il Mediterraneo dell’Alto commissariato Onu per i rifugiati, Vinchent Cochetel dalla Tunisia ha lanciato ieri un forte denuncia dopo l’affondamento di un gommone proveniente dal porto libico di Zuwara e affondato ieri a largo di Zarzis in acque tunisine (80 morti affogati e dei 4 naufraghi recuperati, altri due morti in ospedale). «Nessuno mette a repentaglio la propria vita e quella dei familiari in questi viaggi disperati a meno che non abbia un’altra scelta – ha detto Cochetel – Dobbiamo fornire delle alternative significative che impediscano a queste persone di salire sulle barche». Cochetel accusa l’Europa di «cecità» sulla condizione dei rifugiati e dei migranti in Libi, chiede un ripensamento delle politiche sull’immigrazione. Dice che nelle sue ultime visite nei centri di detenzione libici ha trovato solo persone «pelle e ossa», paragonabili a quelle che aveva visto «in Bosnia negli anni ’90 o nei campi di prigionia cambogiani dei Khmer Rossi». Racconta che «le autorità di questi centri sostengono din non avere più soldi per nutrirli e le organizzazioni umanitarie si rifiutano di provvedere per non avvallare il sistema di queste detenzioni arbitrarie, perciò questa gente si trova tra l’incudine e il martello».

A TAJOURA, dopo lo scoppio delle due bombe cadute dal cielo e gli spari su chi cercava di salvarsi fuggendo in strada, dopo che i circa ottanta feriti sono stati portati nei piccoli ospedali della zona dalle ambulanze della Mezzaluna rossa, sono rimasti in 300 a dormire e bivaccare sotto i pochi sparuti alberi negli spiazzi vicini al centro ormai distrutto, sopra i materassi di gommapiuma insanguinati recuperati tra le macerie. Nessuno si occupa di loro, tranne qualche visita dei funzionari dell’Oim, l’Organizzazione delle migrazioni. E secondo Safia Misheli, funzionaria Oim, non è possibile aggiornare il conto dei morti perché «molti corpi non sono stati ancora recuperati mentre molti feriti gravi avrebbero bisogno di cure fuori da Tripoli o moriranno presto».

L’INVIATO SPECIALE ONU Ghassam Salamé incontrando il ministro italiano Moavero Milanesi a Roma pochi giorni fa ha detto che gli europei «sono ossessionati dai centri per migranti, che invece sono un problema minore perché lì si strova solo il 2% di tutti gli immigrati irregolari in Libia, che sono 800 mila». Ma i circa 3 mila rinchiusi sotto le bombe sono i veri ostaggi della guerra.

* Fonte: Rachele Gonnelli, IL MANIFESTO[1]

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