Iran. Pericolosa escalation nello Stretto di Hormuz tra droni e petroliere

Iran. Pericolosa escalation nello Stretto di Hormuz tra droni e petroliere

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Occhio per occhio, dente per dente. È con la legge del taglione, e non con la cautela della diplomazia, che Washington, Londra e Teheran interagiscono. A giugno i pasdaran avevano distrutto un drone statunitense, e ieri il presidente americano Trump ha dichiarato di aver abbattuto un drone iraniano nello Stretto di Hormuz. La notte del 4 luglio la petroliera iraniana Grace 1 era stata presa d’assalto da trenta Royal Marines mentre attraversava lo Stretto di Gibilterra, forse trasportando greggio verso la raffineria di Banyas, in Siria, in violazione delle sanzioni dell’Unione Europea.

Per ricambiare il gesto, ieri sera, i pasdaran hanno utilizzato piccoli aerei e un elicottero per obbligare la petroliera britannica Stena Impero e i ventitré membri dell’equipaggio, diretti in Arabia Saudita, a dirigersi verso la costa iraniana.

COMINCIAMO DAL DRONE. Si sarebbe avvicinato troppo alla portaelicotteri Boxer, che navigava in acque internazionali. A mille iarde, ovvero a 914 metri di distanza, rappresentava «una minaccia all’ammiraglia di prontezza operativa anfibia, e al suo equipaggio».
Su Twitter, il viceministro degli Esteri iraniano Seyed Abbas Araghchi ha smentito e ironizzato: «Non abbiamo perso un drone nello Stretto di Hormuz né altrove. Mi preoccupa il fatto che gli americani possano aver abbattuto un proprio drone, per errore». In serata, la televisione di stato iraniana ha pubblicato un video girato dal drone in questione e i pasdaran, che hanno fornito il video all’emittente di stato, hanno dichiarato che «dopo aver girato il filmato il drone era salvo ed è tornato alla base».

NEL FRATTEMPO GLI STATI UNITI, che nel porto di Manama in Bahrain hanno insediato la Quinta Flotta e sono sempre più presenti militarmente nel Golfo persico, condannano l’attività della Marina dei pasdaran e chiedono a Teheran di rilasciare la piccola petroliera Riah. Batte bandiera panamense, ed era stata catturata domenica a sud dell’isola iraniana di Larak con i suoi dodici membri dell’equipaggio: secondo i pasdaran, stavano contrabbandando un milione di litri di carburante.

SALE LA TENSIONE, aumenta il prezzo del greggio e quindi del carburante ma anche i costi per le industrie.
Al centro, c’è lo Stretto di Hormuz situato tra il Golfo persico e il Mare Arabico: da qui transita un quinto delle esportazioni mondiali di petrolio, quasi 19 milioni di barili al giorno. Una quantità di greggio che rende questo braccio di mare più importante del Canale di Suez, dove ne passano 5,5 milioni. Nel tratto che separa l’Iran dall’Oman, lo Stretto di Hormuz è largo 21 miglia marine. I corridoi di passaggio sono due, ognuno di due miglia: sono abbastanza larghi e profondi per far transitare tutte le petroliere.

Se per il resto del mondo è un centro nevralgico, per ayatollah e pasdaran lo Stretto di Hormuz è il passaggio della maggior parte del petrolio estratto in Iran, laddove l’oro nero rappresenta due terzi delle esportazioni della Repubblica islamica, pari a 66 miliardi di dollari nel 2017. Mercoledì, in un’intervista a Bloomberg a New York, il ministro degli Esteri Zarif aveva precisato che «l’Iran è in grado di chiudere lo Stretto di Hormuz ma non vogliamo farlo perché lo Stretto e il Golfo persico sono per noi arterie vitali. Lo scorso anno un terzo dell’energia del pianeta estratta dal mare, è transitata da qui. È una zona molto trafficata, non dimentichiamo che nel 1988 gli americani hanno abbattuto un aereo commerciale con 290 civili a bordo. Percepiamo il pericolo, vogliamo evitare una pericolosa escalation ma non possiamo rinunciare a difendere il nostro paese».

IN QUESTI ULTIMI ANNI, sotto continua pressione da parte di Washington, le autorità iraniane hanno minacciato più volte di chiudere lo Stretto. Ma questo sarebbe un atto di guerra e sia Trump sia il leader supremo Khamenei hanno dichiarato di non volere un conflitto. La Storia insegna però che è sufficiente un errore. E proprio nel Golfo persico si è combattuta, durante il conflitto Iran-Iraq degli anni Ottanta, la guerra delle petroliere: 240 le navi attaccate, 55 quelle affondate.

LE CONSIDERAZIONI da tenere a mente sono le seguenti: la guerra contro Teheran è già in essere, per quanto sia a bassa intensità. È una guerra anche mediatica, di dichiarazioni e smentite. Ed è una guerra che si combatte pure con la armi dell’informatica: secondo fonti del Pentagono, il drone iraniano sarebbe stato abbattuto interferendo sul suo sistema operativo.

* Fonte: IL MANIFESTO

photo: Bernard Spragg. NZ from Christchurch, New Zealand [CC0]



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