by Alfredo Marsala * | 19 Luglio 2019 10:55
Dopo tre ore e mezza d’interrogatorio nel palazzo di giustizia di Agrigento, gli avvocati di Carola Rackete, accusata di favoreggiamento all’immigrazione clandestina e disobbedienza a nave da guerra nel secondo filone d’inchiesta sul caso Sea Watch, sono convinti di avere dimostrato alla Procura che la capitana della nave battente bandiera olandese salvando i 42 migranti, poi condotti a Lampedusa, agì nel pieno rispetto delle regole.
Carola è entrata nella stanza dei pm intorno alle 10.30 ed è uscita poco prima delle 14. Fuori dal palazzo un gruppo di attivisti e liberi cittadini ha effettuato un presidio mostrando cartelli e striscioni con la scritta «Salvare vite in mare non è reato». «Rackete, adesso, non è più capitano della Sea Watch 3» perché «c’è stato un cambio di equipaggio, del resto fa anche altro nella vita», spiega l’avvocato Alessandro Gamberini, che la difende assieme al collega Leonardo Marino. Il legale è poi entrato nel merito dell’indagine. «Sono state semplici le cose da dire: questo è un salvataggio in mare fatto con tutti i crismi della regolarità e delle esigenze drammatiche che si erano realizzate. Tutto era documentato nel diario di bordo – spiega Gamberini – Noi avvocati abbiamo prodotto tutto. I pm hanno chiesto i chiarimenti del caso e l’interrogatorio è durato quel tanto che doveva durare». Per i legali «è una vicenda chiara: è giusto che ci sia un’indagine ma, su questo, montare strane idee sui salvataggi di Sea Watch è fuori dal mondo». «Si è parlato del soccorso, di alcune ore successive e del passaggio della nave alle acque territoriali italiane perché questo era l’oggetto dell’attenzione della Procura in questo momento – riferisce – Abbiamo ribadito lo stato di necessità. Tutti dicono che la Libia non è in grado di offrire porti sicuri, allora questo esigerebbe, se ci fosse coerenza, che i Paesi europei si decidessero a presidiare le acque Sar libiche. Chi lo deve fare? Le organizzazioni dei volontari? La Sea Watch è una di queste organizzazioni e criminalizzarla per una cosa che dovrebbero fare gli stati Europei è incoerente. E’ inutile rimandare alle responsabilità dei libici». E Carola lasciando il tribunale ha lanciato un appello: «Ci sono migliaia di profughi che vanno evacuati da un paese in guerra. Mi aspetto dalla commissione europea che trovi al più presto un accordo per dividere i profughi». Mentre l’avvocato Gamberini va giù duro nei confronti del ministro dell’Interno: «Che il clima di odio ci sia e venga alimentato da dichiarazioni aggressive, irresponsabili e false, come quelle che il ministro Salvini ha presentato nei suoi profili social è pacifico».
Per il legale «un conto che lo fa uno al bar, un altro è se arrivano da un uomo che ha responsabilità istituzionali». «In questo senso noi crediamo – sostiene il penalista – che questo abbia una valenza istigatoria. Crea come un grande macigno buttato nello stagno, grandi ripercussioni». E ricorda che «il ministro degli Esteri dice espressamente che la Libia non è un porto sicuro», dunque, «questo esigerebbe, se fossimo in una situazione coerente, che i Paesi europei si obbligassero a presidiare le acque Sar libiche». Perché «criminalizzare le associazioni umanitarie per quello che dovrebbero fare i Paesi europei è una cosa incoerente, una vergogna».
D’altronde durante il salvataggio, rivela il legale, «la motovedetta libica che si è avvicinata esibiva un’insegna del comandante di una milizia ed è una cosa documentata».
Intanto, il consiglio comunale di Palermo per un solo voto ha bocciato il blitz dei consiglieri della Lega che con un ordine del giorno avevano proposto la concessione della cittadinanza onoraria ai finanzieri “speronati” a Lampedusa dalla della Sea Watch durante le concitate fasi dell’approdo a Lampedusa: 9 voti favorevoli, 4 contrari e 10 astenuti. Del resto, nell’ordinanza con la quale il gip di Agrigento non ha convalidato l’arresto di Carola Rackete, tornata libera, il giudice ha scritto che non ci fu alcuna intenzione da parte della Sea Watch di speronare la motovedetta della finanza che su ordine del Viminale voleva impedire l’accesso al molo e che lo sbarco dei migranti fu necessario per le condizioni in cui si erano ridotti dopo due settimane in mare.
* Fonte: Alfredo Marsala, IL MANIFESTO[1]
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