by Claudia Fanti * | 9 Giugno 2019 18:05
È con sollievo e soddisfazione che in Messico è stata accolta la notizia dell’accordo con gli Stati uniti: è stata scongiurata l’entrata in vigore di dazi progressivi su tutti i prodotti messicani. Se il sollievo è giustificato – l’imposizione delle tariffe avrebbe arrecato danni incalcolabili all’economia del paese, drammaticamente dipendente da quella statunitense –, sui motivi di soddisfazione qualche dubbio è lecito nutrirlo.
Sarebbe probabilmente eccessivo parlare di una capitolazione: l’accordo raggiunto venerdì dopo 12 ore di colloqui non segna alcuna svolta decisiva rispetto all’attuale situazione.
Il ministro degli Esteri messicano Marcelo Ebrard, il vero artefice dell’accordo, ha spiegato come la pretesa Usa di imporre al Messico lo status di «paese terzo sicuro» in cui rispedire tutti i richiedenti asilo sia rimasta fuori dall’intesa, così come, rispetto alle proposte più «drastiche» da parte di Washington, sia infine prevalsa «una posizione intermedia».
Il Messico si è impegnato da parte sua a inasprire le leggi sull’immigrazione per ridurre il flusso migratorio verso gli Usa – come del resto aveva già iniziato a fare sotto le pressioni della potenza confinante –, a partire dal dispiegamento già annunciato di 6MILA elementi della Guardia nacional al confine con il Guatemala.
In secondo luogo, è stato deciso di ampliare il programma «Permanecer en México»: un maggior numero di migranti che hanno chiesto asilo negli Usa verrà «senza indugio» rimandato indietro in Messico, dove dovrà attendere la decisione delle autorità statunitensi.
Una concessione, questa, su cui Ebrard si è però affrettato a chiarire che, se le misure al primo punto – evidentemente considerate prioritarie – risulteranno efficaci, «non ci sarà da aspettarsi molta più gente in attesa» di una risposta.
Se poi le iniziative adottate non dovessero produrre i risultati sperati, il terzo punto dell’accordo prevede che le parti riprendano i colloqui per concordare altre possibili azioni entro un termine di 90 giorni. Infine, accogliendo la richiesta del governo di Andrés Manuel López Obrador, gli Usa hanno ribadito il proprio impegno a favore dell’iniziativa messicana diretta a promuovere lo sviluppo economico regionale, in Centroamerica e nel sud del Messico, come unica via possibile per rimuovere alla radice le cause della migrazione.
Grande soddisfazione è stata espressa da Amlo, che ha cercato nel suo discorso di tenere insieme, da un lato, l’aumento di respingimenti e di espulsioni alla frontiera con il Guatemala – definiti eufemisticamente come un «accompagnamento» al rimpatrio – e, dall’altro, il rispetto dei diritti umani e la promozione di uno sviluppo regionale includente.
È improbabile, tuttavia, che le acrobazie discorsive del presidente possano essere ben accolte dalle persone in fuga dalla povertà e dalla violenza dei paesi centroamericani.
* Fonte: Claudia Fanti, IL MANIFESTO[1]
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