by Michele Giorgio * | 21 Giugno 2019 18:14
Tehran denuncia la violazione del suo spazio aereo. Washington replica, aereo colpito lontano dal confine
Al Arabiya ieri ne era certa. La Casa Bianca, ha riferito la tv saudita, deciderà nelle prossime ore la rappresaglia contro l’Iran per l’abbattimento mercoledì notte di un drone statunitense nelle acque dello Stretto di Hormuz. Forse sarà un «raid chirurgico» contro i Guardiani della rivoluzione (i Pasdaran) oppure, ha aggiunto, «un attacco massiccio contro l’Iran con la collaborazione degli alleati nella regione e con la partecipazione della Gran Bretagna». In effetti le parole scritte da Trump in un tweet non lasciano spazio a mezze misure: «L’Iran ha commesso un grande errore». Per questo due esponenti di primissimo piano dei Democratici, Nancy Pelosi e Joe Biden, sono intervenuti per mettere in chiaro che l’America «non ha appetito per la guerra all’Iran» e che la politica provocatoria dell’Amministrazione nel Golfo sta trascinando il paese in una nuova guerra. In queste ore inviti a mantenere la calma giungono da più parti e ciò potrebbe aver avuto un effetto su Trump che, dopo la dichiarazione di guerra via tweet, ha usato toni meno bellicosi. «Immagino che qualcuno abbia compiuto un errore nell’abbattere il drone. Ho la netta sensazione che qualcuno ottuso e stupido abbia compiuto un errore», ha detto ai giornalisti. Quindi ha aggiunto «Sul drone non avevamo nessuno, questo avrebbe fatto una enorme differenza».
In ogni caso, come è sempre accaduto nelle guerre scatenate dagli Usa nel Golfo negli ultimi tre decenni, i media occidentali si sono già adeguati alla narrazione americana. La responsabilità della tensione, scrivono o lasciano intendere, è tutta dell’Iran e sorvolano sul fatto che l’accordo internazionale del 2015 sul programma nucleare iraniano (Jcpoa) funzionava bene e che è stato Trump – spinto dal suo entourage di falchi e guerrafondai, e anche dalle pressioni di Israele e dell’Arabia saudita – a rovesciare il tavolo e ad approvare sanzioni durissime contro Tehran. A proposito di “sorvolare”. I media italiani parlano di «sorvoli» quando riferiscono delle violazioni dello spazio aereo iraniano da parte degli Usa. Non scriverebbero allo stesso modo se un drone di Tehran entrasse nello spazio aereo Usa o semplicemente provasse ad avvicinarsi al territorio statunitense.
Dove esattamente è stato abbattuto il drone non è chiaro. I Pasdaran dicono di aver lanciato un missile terra-aria contro il velivolo senza pilota vicino a Kouh-e Mobarak, nella zona del porto di Jask, dopo che «si era infiltrato nella provincia costiera di Hormozgan, nel sud del paese», che si affaccia sullo Stretto di Hormuz. Secondo il generale Joseph Guastella, del Comando centrale Usa Usa invece il drone è stato abbattuto mentre si trovava a circa 34 km dal punto più vicino all’Iran. Anche su questo punto si giocherà la partita che potrebbe sfociare nella possibile rappresaglia americana.
I Guardiani della rivoluzione, di recente dichiarati fuorilegge da Trump, in ogni caso hanno inferto un duro colpo al prestigio militare Usa. Il drone colpito, è stato confermato anche da fonti americane, è RQ-4 Global Hawk, prodotto dalla compagnia Northrop Grumman, dal costo di oltre 100 milioni di dollari, più o meno come un F-35. E ad abbatterlo non è stato neanche uno dei razzi terra-aria più evoluti in possesso di Tehran, bensì un missile della serie SAM, di produzione russa. «L’Iran non intende fare la guerra a nessuno ma è pronto alla guerra…L’unico modo per i nostri nemici per essere sicuri è quello di rispettare la nostra sovranità, la nostra sicurezza e gli interessi della grande nazione iraniana», ha avvertito Hossein Salami, comandante dei Guardiani della Rivoluzione, commentando in diretta tv l’accaduto quanto era accaduto nello Stretto di Hormouz.
L’abbattimento del drone è avvenuto in un momento di forti tensioni nel Golfo. Washington, senza prove, accusa Tehran di aver sabotato a maggio quattro petroliere davanti a Fujairah (Emirati) e di essere dietro gli attacchi del 13 giugno contro due petroliere – colpite da esplosioni – nel golfo di Oman. Accuse che Tehran respinge e piuttosto parla di un piano orchestrato proprio dagli Usa per avere un pretesto che consenta l’uso della forza contro l’Iran. Intanto è stata confermata la riunione del 28 giugno dei ministri degli esteri di Cina, Russia, Germania, Francia e Gran Bretagna, i Paesi rimasti, assieme all’Iran, nel Jcpoa dopo il ritiro degli Stati Uniti avvenuto un anno fa. Con ogni probabilità è l’ultima opportunità per salvare l’accordo prima della scadenza dell’ultimatum fissato da Tehran per il 7 luglio per attenuare le conseguenze delle sanzioni Usa sul settore petrolifero e finanziario dell’Iran. Altrimenti la Repubblica islamica inizierà la seconda fase del suo ritiro dal Jcpoa avviando l’arricchimento dell’uranio oltre il limite del 3,67%. La guerra potrebbe arrivare prima. Riyadh, attraverso il suo ministro di stato per gli affari esteri, Adel Jubeir, da un lato sostiene la contrarietà dell’Arabia saudita a un conflitto nel Golfo e dall’altro esorta la comunità internazionale a «inibire» il comportamento dell’Iran. Invece il premier israeliano Netanyahu ha rivolto un appello «a tutte le nazioni che amano la pace e la sicurezza di sostenere gli sforzi americani rivolti contro l’aggressione iraniana», di fatto un appello ad appoggiare la guerra.
* Fonte: Michele Giorgio, IL MANIFESTO[1]
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