Sea Watch. Rackete dopo l’arresto la gogna, insulti dalla folla sul molo

by Alfredo Marsala * | 30 Giugno 2019 8:09

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Applausi e insulti. Carola come metafora di un Paese sempre più inabissato nella morale. E così quando nella notte la Sea Watch, sfondando il blocco della guardia di finanza e rischiando di speronare la motovedetta militare, giunge nel molo di Lampedusa di quelle 40 persone, due erano state evacuate per problemi di salute, si perde il senso. E il tifo becero sulla banchina, con i cori contro e a favore della capitana, diventano lo specchio di un delirio disumano e incivile.

E’ buio pesto quando Carola Rackete al timone della nave decide che è giunta l’ora. Il tempo dell’attesa è scaduto. Poche ore prima ne parla con il suo equipaggio: «Ho deciso, entriamo». Informa anche i parlamentari saliti a bordo della nave il giorno prima, che capiscono che non c’è più spazio per fermarla, e i migranti che si abbracciano. Carola registra un video: «Mi hanno indagato e contemporaneamente ci hanno fatto sapere che non ci aiuteranno a far sbarcare i naufraghi. Questo vuol dire che stiamo ancora aspettando una soluzione che per ora non arriva. Perciò abbiamo deciso di entrare nel porto, che è libero di notte».

LA SEA WATCH accende i motori e inizia, a velocità bassissima, l’avvicinamento al porto. Le luci accese, l’equipaggio al proprio posto, i migranti sul ponte superiore. La capitana non risponde per tre volte all’alt della finanza; la motovedetta tenta fino alla fine di impedire alla nave l’attracco, si mette quasi di traverso. Le due imbarcazioni si toccano, la motovedetta con una manovra evita il peggio. Carola si affaccia sul ponte solo a manovra conclusa. E mentre da terra partono gli applausi e gli insulti lei aspetta i finanzieri. I militari salgono sulla nave: l’arrestano. Le contestano violenza e resistenza a una nave da guerra e tentato naufragio, reati che prevedono pene comprese fra tre e 12 anni di reclusione.

Viene portata nell’ufficio del comandante della finanza, che si trova a pochi metri dal molo. Con lei ci sono solo Giorgia Linardi, la portavoce di Sea Watch, e l’avvocato Leonardo Marino. Carola chiede una bottiglietta d’acqua e quando i finanzieri le notificano i provvedimenti che la riguardano, capisce che forse la manovra che ha fatto è stata un po’ azzardata. «Scusate – dice ai militari – ho fatto un errore, non volevo fare danni ma solo portare a terra queste persone».

SULLA MOTOVEDETTA c’erano cinque finanzieri, se la sono vista brutta con quel bestione di nave da 650 tonnellate. «Non ha fatto nulla per evitarci, siamo stati fortunati: poteva schiacciarci», dicono. Quando c’è stato lo ‘scontro’ tra le due imbarcazioni, attorno alle 2 di notte, a bordo c’erano il comandante, il direttore di macchina, il motorista e due radaristi. In due, uno avanti e uno dietro, hanno tentato con le mani di allontanare la motovedetta dalla Sea Watch, in modo da guadagnare quel minimo spazio per sfilarsi e non rimanere incastrati con la banchina. Ci sono riusciti, anche se la 808 ha urtato parte del molo prima di svincolarsi. «Avevamo tentato di fermarla più volte – racconta il direttore di macchina – prima ancora che entrasse in porto, quando ha messo la prua in direzione Lampedusa, e poi quando è arrivata in prossimità del molo, mettendoci di traverso. Ma il comandante non ha risposto all’alt, ha continuato a manovrare, venendo verso di noi».

A QUEL PUNTO la ‘toccata’ tra le due imbarcazioni è stata inevitabile. «C’è stato una sorta di movimento ‘elastico’, prima ci ha schiacciato verso la banchina e poi ha mollato. Solo in quel momento ci siamo potuti sfilare». Ma perché non vi siete tolti di mezzo prima? «Perché il nostro compito – rispondono a bordo – era quello di non far attraccare la nave che era priva di autorizzazione. Ed è quello che abbiamo fatto finché abbiamo potuto, se fossimo rimasti incastrati, la nave avrebbe distrutto la motovedetta».

Carola esce dalla caserma dopo quasi sette ore: va agli arresti domiciliari, in un appartamento che la ong ha affittato nel centro di Lampedusa. «E’ stanca e stressata, come l’avete vista tutti quando è scesa dalla nave» dice il suo avvocato. Ma non ha certo mollato. «Si difenderà davanti al giudice, spiegherà tutto quello che c’è da spiegare». Cosa dirà lo anticipa Linardi: «Non aveva scelta, non le è stata data nessuna soluzione di fronte a uno stato di necessità dichiarato. Era sua responsabilità portare queste persone in salvo, se c’è stata violazione non è stata del comandante, ma delle autorità che non hanno assistito la nave per 16 giorni». Prima di essere trasferita nell’appartamento, Carola viene portata all’hotspot: è l’unico posto sull’isola per effettuare il fotosegnalamento e prenderle le impronte digitali. Quando esce incontra i quaranta migranti che erano sul ponte della sua nave. Scatta l’applauso di tutti. Carola si commuove. Le esce un sorriso.

Rimane l’eco degli insulti che un manipolo di persone le aveva rivolto quando i militari l’arrestano sulla nave, mentre altri l’applaudivano. «Spero che ti violentino», si sente in un video poi messo sul web. «Zingara, tornatene in Olanda». Lei, capelli rasta che incorniciano il viso da ragazza, si ferma per un attimo con lo sguardo rivolto verso la folla che non sembra tradire alcuna emozione.

* Fonte: Alfredo Marsala, IL MANIFESTO[1]

 

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  1. IL MANIFESTO: https://ilmanifesto.it/

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