Procedura d’infrazione, Conte prova a convincere la UE: deficit al 2,1%

by Andrea Colombo * | 20 Giugno 2019 9:39

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Oggi Conte si presenterà a Bruxelles non solo recapitando di persona la lettera di risposta alla Commissione sulla procedura d’infrazione ma anche con le famose «cifre» richieste dai commissari in tasca. E se non saranno proprio le cifre definitive si tratterà di un’ottima approssimazione. Non era previsto. Ancora martedì mattina, da Londra, Tria assicurava che la legge di assestamento di bilancio, di fatto la «correzione» delle cifre del Def, sarebbe stata pronta solo a fine mese e ieri mattina, nel suo intervento alla Camera subito dopo un rapido vertice con Salvini, Di Maio e Tria, il premier non aveva fatto cenno all’accelerazione. Ha tirato fuori il coniglio dal cilindro nel pomeriggio, al Senato, aggiungendo l’annuncio alla ripetizione pedissequa di quanto detto qualche ora prima a Montecitorio: «Abbiamo in animo, con Tria, di portare questa sera in cdm una bozza di aggiustamento per certificare il quadro positivo dei conti pubblici».

In mezzo c’era stato il rituale pranzo sul Colle con una folta delegazione di governo, come sempre alla vigilia di un Consiglio europeo. Lì però del capitolo procedura non si era parlato. O almeno non ufficialmente, non a tavola, non con presenti tutti i ministri convitati (più Giorgetti, a un passo dalla designazione come commissario Ue alla Concorrenza). E’ probabile che la spinta verso l’accelerazione sia arrivata da Bruxelles: l’arrivo di un Conte armato solo di parole e non di cifre sarebbe stato preso malissimo. Come del resto aveva chiarito al di là di ogni dubbio Dombrovskis martedì.

L’ANTICIPAZIONE PERMETTE di fornire alla commissione i «fatti» invocati e reclamati in tempo utile, entro quella settimana concessa all’Italia appunto sette giorni fa. Politicamente è un segnale di ottima volontà e forse qualcosa di più. Ma parlare di resa e di manovra correttiva camuffata sarebbe sbagliato. Le cifre di Conte e Tria riflettono invece la posizione assunta da Conte ieri in Parlamento: «Vogliamo evitare la procedura ma siamo ben convinti della nostra politica economica». Alla commissione, che chiede un cambio drastico d’indirizzo, l’Italia risponde cercando di provare che invece la direzione scelta dal governo gialloverde è quella giusta: «Dimostreremo che le nostre stime hanno il sopravvento su stime fatte dal altri», promette Conte.

Quelle cifre, in realtà, le avevano già parzialmente anticipate tra le righe Tridico, il presidente dell’Inps, e Tria, in un’intervista al Financial Times. «I risparmi rispetto alla spesa prevista per Quota 100 e Reddito ammontano a 3 miliardi», aveva annunciato Tridico. Per Tria il risparmio potrebbe ammontare anche a un miliardo in più. Poi ci sono i due miliardi «congelati» nella legge di bilancio, che il cdm notturno di ieri aveva in programma di scongelare, e qualche corposa entrata fiscale in più. Nel complesso il deficit, fissato nel Def al 2,4%, dovrebbe attestarsi intorno al 2,1%. Sulla carta dovrebbe bastare per chiudere il dossier procedura d’infrazione per debito. Non sarà così.

Come sempre Bruxelles nasconde dietro la fredda e apparente oggettività dei conti scelte e mosse politiche. Quel che l’Europa vuole è un rovesciamento della strategia economica dell’Italia. Il momento della verità arriverà dunque solo con la legge di bilancio. Salvini ha accettato la via indicata da Conte e Tria, pur restando più che guardingo, solo in cambio dell’impegno ad avviare subito la Flat tax per i redditi familiari sino a 55mila euro. «Sarà introdotta gradualmente e compensata dai tagli di spesa» promette Tria. Ma la Ue non si accontenterà delle parole e quindi è quasi impensabile che rinunci a far sentire al governo di Roma il fiato della procedura incombente sul collo fino alla conclusione della partita sulla manovra 2020. Potrebbe però allungare un po’ i tempi, come l’Italia spera.

IN PARTE DIPENDERÀ dal negoziato sui posti chiave Ue che si svolgerà nelle prossime ore e che è stato al centro della tavolata imbandita sul Colle (ma senza fare nomi assicurano tutti). Non si tratta solo di indicare Giorgetti e di reclamare un commissariato economico di peso. Il puzzle va visto nel complesso e l’Italia si starebbe orientando a sostenere un presidente della commissione francese, giocando di sponda con la Germania: nel vero posto decisivo, la presidenza della Bce, andrebbe il tedesco Weidmann. Fino a ieri era un falco. Si è convertito di colpo alla dottrina Draghi. Francoforte val bene un volo di colomba.

* Fonte: Andrea Colombo, IL MANIFESTO[1]

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