Oggi la fiducia alla Camera per un “Decreto crescita” nel caos

Oggi la fiducia alla Camera per un “Decreto crescita” nel caos

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Pasticci, errori, ripensamenti, accuse, scuse e nuovi guai. Quella del «decreto crescita», che contiene norme dal «Salva Comuni» (Roma) al taglio delle tariffe dell’Inail fino ai 3 milioni per Radio Radicale, è diventata un’epopea. Per darci un taglio, oggi il governo ha posto la fiducia alla Camera perché incombe il termine per la conversione fissato il 29 giugno. Dopo il provvedimento investito della missione di rilanciare una crescita data, al 65% dall’Istat, tendente al negativo, rischia di scadere. Ma i problemi non sono finiti qui, anzi.

LA SCENA è stata quella della gestione dei fondi per la coesione 2021-2027 (oltre 60 miliardi di euro): un incredibile caos creato dalla ministra per il Sud, la cinque stelle Barbara Lezzi. In un primo momento ha sostenuto che una norma aveva spostato tale gestione dal suo ministero alle regioni e ha attaccato i responsabili. In seguito, dopo l’approvazione di un emendamento dei relatori che ha stralciato la norma approvata dalle commissioni lunedì, Lezzi si è corretta e ha chiesto scusa davanti alle commissioni Bilancio e Finanze della Camera. «Bene ha fatto il ministro Lezzi ad annunciare lo stop a questo scempio addossando ogni colpa all’alleato [Lega, ndr.] – ha detto Peppino Longo, vicepresidente del consiglio regionale pugliese – Ma ha dimenticato che il relatore dell’emendamento è un deputato Cinque Stelle, un suo collega. Sono in stato confusionale».

L’«ERRORE», così definito da Lezzi, aveva dato vita a una serie di voci a proposito di uno «scambio» tra la ricca partita dei fondi e l’autonomia concessa alla Lega. Eventualità smentita dallo stesso Salvini. Dello stesso avviso Lezzi secondo la quale «le autonomie non sono un segreto, sono nel contratto del governo». Nel frattempo ieri è spuntato un altro guaio: la norma che modifica le procedure di riconoscimento dei debiti fuori dal bilancio delle regioni senza passare dai consiglio regionali. Il problema di ammissibilità è stato posto dalle opposizioni, ma la fretta di arrivare a definire un testo da portare in aula è stata più forte. «Quindi prima si fa la norma e poi, se è sbagliata, si corregge», ha detto Maria Elena Boschi (Pd). «’Viviamo in un mondo imperfetto» ha risposto il presidente della commissione Bilancio, Claudio Borghi (Lega).

NEL «MONDO IMPERFETTO» dei pentaleghisti c’è un altro problema: l’ex Ilva di Taranto: l’articolo 46 del decreto crescita interviene sulla norma che esclude la responsabilità penale e amministrativa del commissario straordinario, dell’affittuario o acquirente (e dei soggetti da questi delegati) dell’Ilva di Taranto. Si limita l’esonero da responsabilità alle attività di esecuzione del piano ambientale escludendo l’impunità per la violazione delle norme a tutela della salute e della sicurezza sul lavoro. Si individua nel 6 settembre 2019 il termine ultimo di applicazione. ArcelorMittal ha informato il governo dell’impossibilità di proseguire la gestione della fabbrica, qualora venissero meno le tutele legali. Ieri è arrivata la protesta di Confindustria. «Le nostre imprese non lavorano scudate dall’immunità penale» ha risposto la ministra Lezzi.

L’INPGI, l’ente previdenziale dei giornalisti, è un altro problema. Il commissariamento sospeso fino al 31 ottobre e non più fino a fine anno. È una norma ponte per riequilibrare i conti dell’istituto. Prevista una copertura per garantire l’invarianza del gettito contributivo dopo un eventuale passaggio dei comunicatori dall’Inpsai giornalisti. L’Inpgi ha rilevato la confusione e l’incertezza dell’emendamento: se da una parte l’istituto ha 12 mesi di tempo per garantirsi la stabilità finanziaria, dall’altra parte si sospende il ricorso al commissariamento solo fino al 31 ottobre 2019. Da un lato, si riconosce la validità dell’ipotesi di ampliare la platea contributiva a nuove categorie; dall’altro lato si stanziano le risorse per attuarla solo a partire dal 2023. Sembra che ci sia un obiettivo: «colpire i giornalisti» ricorrendo alla «figura di un commissario che tagli tutele e welfare».

«È LA CONFERMA della volontà di una parte della maggioranza di governo di colpire l’informazione – sostiene Raffaele Lorusso (Fnsi) – Un’operazione pericolosa quanto inutile perché la messa in sicurezza passa dall’allargamento della platea degli iscritti. Ogni altra ipotesi è propaganda e demagogia d’accatto».

* Fonte: Roberto Ciccarelli, IL MANIFESTO



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