Diritti umani estinti nel mondo per effetto dell’«apartheid climatico»
A metà tra un discorso di Thomas Sankara e un aggiornamento degli Olocausti tardovittoriani di Mike Davis, sull’innesco politico prima ancora che climatico di fenomeni devastanti come El Niño, lo special rapporteur dell’Onu per la Povertà estrema, Philip Alston, ha illustrato con la giusta dose di apocalittico realismo i termini della faccenda. Ripetendo, con toni forti e autorevoli, quanto è e sarà sotto gli occhi di tutti, che saranno i più poveri a subire i danni causati dai più ricchi, che i mutamenti climatici in atto travolgeranno chi vi ha meno contribuito.
E che oltre alla scarsità di cibo, acqua e luoghi sicuri in cui vivere, con conseguenti conflitti, migrazioni di massa e vie di fuga che solo i ricchi potranno permettersi, a rischiare seriamente l’estinzione di fronte «agli sconvolgimenti che sono in arrivo» sono gli stessi diritti umani.
«Apartheid climatico» è la calzante definizione usata dallo studioso australiano, parte di un gruppo di esperti indipendenti che ha lavorato a una sorta di sintesi delle ricerche condotte fin qui su una materia così incandescente. Le conclusioni sono sdegno allo stato puro per il modo in cui Donald Trump sta «silenziando attivamente» la ricerca sul climate change e per come Jair Bolsonaro sta svendendo l’Amazzonia alle società minerarie. Ma sono anche una condanna senza appello per i passi «palesemente inadeguati» intrapresi dalle Nazioni unite e dallo stesso Consiglio Onu per i diritti umani – nella cui sede il rapporto verrà presentato, venerdì a Ginevra – che per Alston «non può più limitarsi a organizzare panel di esperti, produrre inutili rapporti, esortare gli altri a fare di più quando di per sé fa ben poco. Spuntare caselle non salverà l’umanità dal disastro imminente».
* Fonte: Marco Boccitto, IL MANIFESTO
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