by Adriana Pollice * | 4 Giugno 2019 8:56
NAPOLI. Oggi a Roma saranno almeno un migliaio i lavoratori a presidiare il ministero dello Sviluppo economico: Luigi Di Maio avrà difronte la statunitense Whirlpool che, venerdì scorso, ha annunciato l’intenzione di chiudere lo stabilimento di Napoli dove si producono lavatrici, 430 addetti che salgono a circa 1.400 con l’indotto. Nella capitale arriveranno anche compagini dall’Avio, Alenia, Hitachi, Fca. Al Mise andranno a dire che esiste un’emergenza Campania: da venti anni si dismette all’ombra del Vesuvio, tutelando invece i siti del centro nord. «L’abbiamo visto pure noi di Alenia – racconta un operaio -, volevano cancellare la nostra storia per tenere il comparto in Lombardia e Piemonte. Siamo riusciti a bloccare il piano ma, intanto, hanno chiuso Casoria e Capodichino».
LA WHIRLPOOL A OTTOBRE ha sottoscritto al Mise il Piano industriale 2019-2021, che prevedeva per Napoli un investimento di 17 milioni e il trasferimento di tutte le produzioni di alta gamma a via Argine. Quella parte di produzione che si spostava dalle Marche sarebbe stata compensata dal rientro dalla Polonia delle lavasciuga. I vertici aziendali a Napoli avevano mostrato il prototipo, segreto, del nuovo modello tutto design e qualità, 500mila pezzi all’anno ad alto valore aggiunto, ideato per fare concorrenza a Miele e Bosh.
POI IL SILENZIO. Niente incontri con i fornitori e neppure con i tecnici per preparare le linee. Un silenzio che ha reso evidente il cambio di piano in atto. «Il sospetto – spiegano i lavoratori – è che ci siano problemi sugli ultimi modelli di alta gamma e noi adesso paghiamo anche questo».
DOPO SOLI SETTE MESI l’accordo è stato cestinato: «Hanno fatto tesoro di quanto successo nel 2015, quando Whirlpool acquisì Indesit dalla famiglia Merloni – racconta Mauro Cristiani, della segreteria Fiom di Napoli -. Allora fecero l’elenco dei siti da chiudere e tutte le fabbriche si sollevarono. Adesso ne hanno isolata una. Ma se il piano riesce, presto potrebbe toccare agli altri». I lavoratori del gruppo lo sanno e infatti sono sul piede di guerra. Nelle Marche, a Melano e Fabriano, ieri hanno fatto 30 minuti di sciopero e oggi ulteriori 90. Presidi ieri a Siena e, ancora nelle Marche, a Comunanza dove si lavora la metà delle ore previste e gli operai hanno impedito l’accesso a impiegati e fornitori.
DEGLI OLTRE 6.300 DIPENDENTI dei sei siti italiani nessuno è tranquillo. A Siena sono in solidarietà da anni e lavorano a scartamento ridotto. A Comunanza le linee sono molto più vecchie rispetto a Napoli, dove sono stati investiti 70 milioni grazie ai fondi Ue. «A Varese dicono che sposteranno i microonde dalla Cina e i forni dalla Polonia – spiega il delegato Fiom, Giovanni Fusco – ma come li fanno rientrare così possono riportarli fuori». A Roma i pullman da Napoli arrivano dopo quattro giorni passati a presidiare la fabbrica giorno e notte. Ieri c’è stata un’assemblea con i delegati di Fim, Uilm e Fiom. I sindacalisti nel pomeriggio si sono spostati a Caserta dove, dei due siti originari dell’Indesit, è rimasto solo l’hub della componentistica che, a regime, assorbirà appena 200 dipendenti. Un capannone che, all’occorrenza, l’azienda potrà spostare al centro nord se riuscirà a chiudere l’impianto di via Argine.
ANTONIO È DA 16 ANNI alla Whirlpool: «Ci lavorava mio padre, ho cominciato a 17 anni. Uscivo da scuola e venivo in fabbrica a fare i turni del pomeriggio. Venerdì il nostro ex capo, Luigi La Morgia, ha comunicato la chiusura di Napoli. Se ha fatto carriera è grazie a noi. I capi restano massimo tre anni, noi qui siamo alla terza generazione. Se possono spedire la produzione in Polonia pure è grazie a noi: ci portavano gli operai dall’estero perché gli insegnassimo a fare le lavatrici. Se non sono interessati, possono posare i marchi italiani al Mise e tornare negli Usa». Il decreto Dignità avrebbe dovuto bloccare le delocalizzazioni, i sindacati avvisano Di Maio: «Ci aspettiamo che pretenda il rispetto del piano che lui stesso ha firmato. Piano grazie al quale Whirlpool ha avuto altri due anni di ammortizzatori sociali. Al tavolo vogliamo anche regione e comune». Ci sarà il vicesindaco Enrico Panini e l’assessore regionale Sonia Palmeri.
* Fonte: Adriana Pollice, IL MANIFESTO[1]
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