Commissione europea. Rinvio delle nomine, i candidati favoriti escono di scena

Commissione europea. Rinvio delle nomine, i candidati favoriti escono di scena

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Niente accordo anche sul clima per lo stop di Estonia, Repubblica ceca, Ungheria e Polonia

Un vertice andato a vuoto per le grandi decisioni: le nomine per i top jobs sono rimandate al summit straordinario del 30 giugno, alla vigilia della prima riunione del Parlamento europeo il 2 luglio, mentre per l’azione sul clima si dovrà aspettare settembre (vertice Onu del 23) per una posizione comune europea o addirittura dicembre per un chiarimento sugli obiettivi di neutralità carbone entro il 2050, visto il blocco di 4 paesi: Estonia, Ungheria, Repubblica ceca e Polonia (che molto probabilmente non cambierà posizione prima delle elezioni legislative di novembre, perché il Pis al potere non vuole impegnarsi). Piccolo passo avanti sul bilancio della zona euro.

TOP JOBS. Nessuna decisione finale, ma niente di drammatico (è la prassi, tre tappe per arrivare a una decisione, i 28 ne hanno già passate due, il 28 maggio scorso poi il Consiglio che si è concluso ieri). Intanto, sono stati fatti fuori gli Spitzenkandidaten, soprattutto il più indigesto, il tedesco Manfred Weber, giudicato inadeguato perché non ha alle spalle una carriera politica nazionale di alto livello. Il rigetto del meccanismo Spitzen ricade anche sul socialista olandese Frans Timmermans e persino sulla danese Margrete Vestager, benché fosse stata scelta dal gruppo liberale assieme a una rosa di nomi (era cioè un po’ meno Spitzenkandidat, tanto più che la pattuglia più forte del gruppo, i francesi di En Marche, ha da sempre rifiutato questo sistema). Bisogna trovare un equilibrio sui 4 posti-chiave: di genere, geografico (con rappresentanze di est e sud), con personalità di chiara competenza, per arrivare a un voto favorevole nella doppia maggioranza richiesta (qualificata al Consiglio, 16 paesi su 28 rappresentativi di almeno il 65% della popolazione, e assoluta al Parlamento, cioè almeno 376 voti). Con la composizione attuale dell’Europarlamento, ci vuole una coalizione tra i 182 seggi del Ppe, i 153 di S&D, i 108 liberali e i 75 Verdi. Angela Merkel ha parlato di «discussioni intense ma amichevoli», Emmanuel Macron vede «altri nomi» dopo la bocciatura dei tre Spitzenkandidaten. Nell’asse franco-tedesco si è inserito abilmente Pedro Sanchez, che spera in uno spagnolo – circola il nome di Josep Borrell – nei top jobs (così la Spagna soppianta l’Italia, che si auto-isola, come rappresentante del sud Europa). Nomi nuovi arrivano dall’est, da Bulgaria, Lituania o Croazia, soprattutto per la presidenza del Consiglio per la successione di Donald Tusk (il suo nome è stato evocato per la guida della Commissione).

CLIMA. Estonia, Repubblica ceca, Ungheria e Polonia bloccano, così non è stato possibile arrivare a un accordo né sulla neutralità carbone entro il 2050 né su un aumento degli sforzi per ridurre le emissioni ad effetto serra entro il 2030 (oggi l’intesa è per -40%, l’obiettivo mancato è -55%). Il comunicato finale si limita a auspicare di «assicurare la transizione verso una Ue climaticamente neutra». I 4 del blocco hanno chiesto ma non hanno ottenuto un impegno scritto dai partner su fondi europei supplementari per finanziare la transizione climatica. Fanno valere di essere in posizione più difficile di paesi che hanno un mix energetico meno inquinante. Però è già un successo che 24 paesi su 28 siano d’accordo per arrivare a una neutralità carbone nel 2050. Erano 15 solo la settimana scorsa. La Germania ha raggiunto il gruppo dei volonterosi con molto ritardo, al summit sull’avvenire dell’Europa, il 9 maggio scorso, si era alleata con Polonia, Ungheria, Repubblica ceca e Slovacchia per chiedere di rimandare le scadenze. Ma dopo le europee Merkel deve fare i conti con il forte voto per i Grünen e ieri c’è stata una grande manifestazione nella Ruhr contro le miniere di carbone ancora in attività. Entro dicembre dovrà essere definita la percentuale dedicata alla transizione climatica del bilancio Ue 2021-2027 (1200 miliardi di euro). Intanto già Finlandia e Svezia hanno deciso di tagliare le emissioni di Co2 entro il 2035 e il 2045, Gb e Irlanda hanno varato piani nazionali di neutralità carbone e la Francia voterà una legge Clima-Energia in questo senso entro giugno.

ZONA EURO. Se si vuole toccare con mano l’isolamento dell’Italia basta leggere le conclusioni sull’approfondimento dell’Unione economica e monetaria. Anche se c’è solo un piccolo passo verso un bilancio della zona euro, è come se ci fosse ormai il piede nella porta. Juncker: «L’euro non è più percepito come una minaccia o una fonte di austerità», ma «è visto a giusto titolo come protezione e vantaggio strategico per tutti gli europei in un mondo incerto». Bisognerà aspettare però il prossimo anno, nell’ambito della discussione del bilancio 2021-2027, per avere precisazioni sulla riforma del Mes (Meccanismo di stabilità) e il backstop sui depositi per l’Unione bancaria. La crisi dei debiti è ancora troppo vicina e gli sbandamenti italiani raffreddano anche i più volonterosi.

* Fonte: Anna Maria Merlo, IL MANIFESTO



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