by Chiara Cruciati * | 21 Maggio 2019 11:35
Sulle esportazioni italiane di sistemi militari all’Arabia saudita, abbiamo parlato con Giorgio Beretta, dell’Osservatorio permanente sulle armi leggere e politiche di sicurezza e difesa (Opal), associazione parte di Rete Disarmo.
Cosa esporta Teknel, l’azienda con sede a Roma produttrice dei generatori bloccati dai camalli a Genova?
Teknel ha ricevuto l’autorizzazione a esportare all’Arabia saudita questo tipo di gruppi elettrogeni, ovvero generatori elettrici di tipo militare, per la prima volta nel 2018. Un valore complessivo di 7.829.780 euro per 18 gruppi elettrogeni su trailer, dotati di palo telescopico per illuminazione, che alimentano 18 shelter per comunicazione, comando e controllo, in grado di gestire droni, comunicazioni e centri di comando aereo e terrestre. Di questi hanno già esportato due gruppi elettrogeni e due shelter Tbs per un totale di circa 786.200 euro. Non è chiaro se i generatori al porto di Genova siano parte di questa autorizzazione, ma chi li ha visti ha detto che erano colorati come una mimetica.
È facile aggirare la categorizzazione «militare» e farla passare come «civile» nel caso di generatori o strumenti simili?
Dipende dall’acquirente. Se l’acquirente è il ministero della difesa o un altro ente governativo collegato, è molto facile che sia merce militare. Se è un privato, è più probabile che l’uso sia civile. Ma questo è vero nei paesi dove la distinzione tra civile e militare è chiara. Quando una merce arriva in Arabia saudita chissà per cosa sarà poi usata. Esiste sempre un’ambiguità perché sono materiali dual use.
L’Att, il Trattato Onu sul commercio delle armi, e la legge italiana permettono già lo stop alla vendita di armi senza bisogno di toccare la legge 185 del 1990. Manca la volontà politica?
Al momento attuale non vi è nessun divieto esplicito e formale a esportare armamenti all’Arabia saudita. Questi divieti può emetterli il Consiglio di Sicurezza dell’Onu, il consiglio di ministri dell’Unione europea o l’Osce nel caso italiano. Ma l’Att permette già di sospendere l’invio di questi materiali in considerazione di gravi violazioni del diritto umanitario. Tanto che alcuni paesi europei lo hanno fatto. E nel caso italiano è la 185/90 a permetterlo, all’articolo 15: è sufficiente un decreto del ministero degli esteri o di quello della difesa. Se ci vuole un decreto, questo implica una volontà politica. Ma le possibilità giuridiche e legislative ci sono tutte, non è necessario cambiare la legge italiana. Altrimenti non sarebbe possibile sospendere alcuna autorizzazione, una follia: dovremmo ancora mandare in Libia gli elicotteri chiesti da Gheddafi. L’Att all’articolo 7, invece, specifica che quando si viene a conoscenza che il sistema militare può essere usato per commettere gravi crimini di guerra un paese può sospendere o revocare l’autorizzazione all’export.
Nel caso saudita?
Il premier Conte ha detto durante la conferenza stampa di fine anno che l’Italia è contraria all’invio di sistemi militari all’Arabia saudita e che si tratta solo di formalizzare questa posizione. Le questioni sono due: o non sapeva di cosa parlava o mentiva. Altrimenti, cosa aspetta a formalizzare questa posizione? Si deve sollevare questa contraddizione, esplicitata dal presidente del consiglio nella conferenza stampa di fine anno.
Le attuali licenze all’export a Riyadh sono consistenti.
Per l’anno 2019 non si sa ancora niente. Nel 2018 il valore totale delle autorizzazioni rilasciate è pari a 13.350.266 euro, di cui oltre la metà a favore della Teknel. Verrebbe da dire «solo» 13 milioni. Ma in realtà nel corso dell’anno sono stati esportati 108.700.337 di euro in armi, precedenti licenze. In questi 108 milioni ci sono tre forniture da oltre 42 milioni attribuibili alle bombe Mk80 della Rwm Italia, la filiale sarda dell’azienda tedesca Rheinmetall. Ovvero nel 2018 è continuata l’esportazione di queste bombe: l’autorizzazione rilasciata dall’allora governo Renzi nel 2016 non è stata mai revocata o sospesa.
* Fonte: Chiara Cruciati, IL MANIFESTO[1]
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