by Eleonora Martini * | 22 Maggio 2019 10:38
Il tentativo di trovare una mediazione con il Movimento 5 Stelle e con il sottosegretario all’Editoria Vito Crimi, attraverso alcuni emendamenti al decreto Crescita che potevano essere la precondizione per tenere in vita Radio Radicale, purtroppo non è andato a buon fine.
Le commissioni Bilancio e Finanze della Camera hanno infatti respinto ieri sera il ricorso presentato da Lega e Pd contro la bocciatura degli emendamenti che contemplavano la proroga di sei mesi della convenzione di Radio Radicale con il Mise (scaduta il 20 maggio), fino a una nuova gara per il servizio pubblico. Emendamenti finiti tra gli oltre 540 dichiarati inammissibili perché non attinenti alla materia.
C’è però un colpo di scena che riaccende le speranze per il manifesto, l’Avvenire, Libero e molte altre cooperative editrici di periodici locali: sono stati riammessi invece gli emendamenti che prevedono una moratoria fino alla fine dell’anno dei tagli al fondo per il pluralismo, presentati dal deputato di Leu, Federico Fornaro. Una boccata d’ossigeno per gli editori puri come la cooperativa di giornalisti e poligrafici che ha ripreso in mano le sorti della vecchia cooperativa ed edita questo quotidiano senza soluzione di continuità dal 1971.
Per Radio Radicale invece non c’è stato nulla da fare: gli organismi parlamentari presieduti rispettivamente dai deputati Claudio Borghi (Lega) e Carla Ruocco (M5S) hanno respinto il provvedimento presentato dalla stessa Lega (a prima firma Massimiliano Capitanio) e quelli fotocopia del Pd e di Leu.
La decisione ultima è stata più rinviata nel corso della giornata, segno di una trattativa politica serrata. Sul tavolo della contrattazione tra i due contraenti del patto di governo ci sarebbe stato «uno scambio di emendamenti», secondo i rumors di palazzo.
Tanto che dopo lo stop definitivo agli emendamenti, nelle commissioni è scoppiata la bagarre, con tutti i gruppi politici contro il M5S, ma anche contro il presidente della commissione Bilancio, Claudio Borghi, accusato dalla dem Silvia Fregolent di fare il «Ponzio Pilato». Eppure tra i pentastellati c’era chi, come Primo Di Nicola ed altri parlamentari, avevano chiesto al sottosegretario Crimi un ripensamento sullo stop alla convenzione per la trasmissione delle sedute parlamentari. E lo stesso Luigi Di Maio qualche giorno fa aveva fatto girare la voce che per l’«organo della Lista Marco Pannella» si sarebbe trovata «una soluzione».
Ma il «gerarca minore» (come lo chiamava Massimo Bordin) non si è spostato di un millimetro: «La mia posizione non è mai cambiata, se ci fossero state novità lo avrei annunciato. Questa è la posizione del governo e così rimane», aveva confermato Vito Crimi, malgrado da più parti si erano sollevati appelli alla “ragionevolezza”.
Ci aveva creduto anche l’onorevole Roberto Giachetti, dem iscritto al Partito Radicale, che è ricoverato per le conseguenze di uno sciopero della fame e della sete intrapreso da venerdì scorso. Inutile la raccomandazione – lanciata da Giachetti in collegamento telefonico dall’ospedale San Carlo di Nancy durante la conferenza stampa organizzata a Montecitorio dal direttore di Radio Radicale, Alessio Falconio – di tenere «accesa la fiammella della speranza, tenendo conto anche delle indicazioni dell’Agcom», l’Autorità a garanzia delle telecomunicazioni che ha definito irrinunciabile il servizio pubblico garantito dall’emittente negli ultimi 40 anni senza interruzione di sorta.
«Allo stato delle cose pagheremo stipendi di maggio ma non di giugno -ha spiegato Falconio – E anche se volessimo lavorare gratis, abbiamo i costi fissi della rete. Parliamo di 285 impianti che coprono circa l’80% del territorio nazionale, che dovremmo continuare a pagare con elevati costi fissi, che siamo in grado di sostenere solo per pochissime settimane».
Nessuno, però, come Radio Radicale conosce l’«essere speranza» di pannelliana memoria. Si ritenterà ancora, in Parlamento. Ma anche nelle urne, E se ne riparlerà dopo il 26 maggio.
* Fonte: Eleonora Martini, IL MANIFESTO[1]
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