by Tommaso Di Francesco * | 9 Maggio 2019 8:48
Ieri il nostro Mauro Biani in una delle sue preziose «vigne» proponeva di spostare il Salone del Libro a Casal Bruciato. Non accadrà, purtroppo, ma la provocazione è di quelle necessarie. Giacché per noi quel che accade a Roma in queste ore è, se possibile, perfino più grave della vicenda che si è consumata a Torino al Salone del Libro – dove, finalmente, viene avviata l’espulsione della cosiddetta casa editrice fascista Altaforte.
A Casal Bruciato – appena al di là dalla stazione Tiburtina, altro che periferia, è sotto le nostre case – sempre Casa Pound, con lo stesso manipolo impunito che presidiava Torre Maura , attizza all’odio razziale contro una famiglia Rom bosniaca colpevole di essere assegnataria di una casa popolare. La spedizione razzista di Casa Pound imperversa da tre giorni con tanto di gazebo, megafoni e squadristi intoccabili, e ieri è stata capace di contestare duramente la stessa sindaca Raggi, praticamente messa in fuga pure se sotto scorta della polizia, trattata «come una Rom» e prendendosi anche lei la sua dose di insulti. Roma non è solo «fuori controllo»: alcune zone – nonostante i coraggiosi presidi democratrici dei movimenti per la casa – sono nelle mani di Casa Pound. Che di fascisti si tratta basta leggere l’accusa della Procura che ieri ha contestato a 28 militanti di Casa Pound, il reato di «riorganizzazione del disciolto partito fascista e di manifestazione fascista» per l’aggressione a Bari di un gruppo di antifascisti.
Che il 21 settembre 2018 manifestavano a Bari con lo slogan «Mai con Salvini» contro la venuta del ministro degli esteri nel capoluogo pugliese. Certo riguarda «solo» quei 28, ma come giudicare tutti gli altri militanti della stessa organizzazione? A Casal Bruciato infatti le istituzioni democratiche sono sotto scacco. Anzi, sono in fuga. E non è certo bastato che il giorno prima e per tutta la notte l’assessora grillina al patrimonio abitativo di Roma e la presidente del IV Municipio abbiano portato la loro solidarietà e protezione alla famiglia rom assediata, rispondendo «prima i diritti», a chi urlava «prima gli italiani». Tentando, sotto attacco dei fascisti – e sotto tiro del vicepremier Di Maio che ribadisce «prima gli italiani» – di difendere quella modalità politico-amministrativa necessaria all’integrazione, se davvero si vogliono chiudere i maledetti campi nei quali abbiamo colpevolmente recluso i Rom (profittando poi di quella emergenza artificiale); convinti che il nomadismo sia per loro un fatto naturale.
Perfino Salvini a parole diceva di volere «chiudere i campi», ma ora sappiamo che quel che ha in testa, lui e i manipoli impuniti che a lui fanno riferimento, è avviare una nuova pulizia etnica contrabbandata per «sicurezza». Contro un popolo, i Rom, che subisce storicamente lo stigma della diversità, in fuga perché cacciato dai luoghi di origine in Europa e dalle recenti guerre nei Balcani; e che ha subìto lo sterminio nazista negli stessi lager, come Auschwitz, nei quali gli ebrei hanno subìto la Shoah. Abbiamo negli occhi e nel cuore il terrore di martedì sera, quello dei bambini figli della donna rom minacciata di stupro dagli «abitanti», bambini che appena arrivati – pensate – credevano che quell’assembramento, poi rivelatosi ostile e minacciosa, fosse invece stato convocato per la loro gioiosa accoglienza. Che rimarrà alla fine per sempre negli occhi e nella memoria di questi bambini? E dopo i fatti di Torre Maura, per un percorso di violenza fascista che paradossalmente sembra fare a ritroso quello che una volta era a Roma la presenza territoriale della nuova sinistra.
Che cosa bisogna aspettare perché una diffusa, radicata e forte mobilitazione antifascista e antirazzista torni di nuovo ad occupare il tessuto democratico, quasi residuale, di Roma infettata di razzismo e dell’Italia intera? Da Torino a Roma, a questo punto.
Dovendo usare una metafora storica, diremmo che di fronte all’incendio della storica Libreria di Alessandria da una parte e la vita in pericolo di un solo bambino, non avremmo esitazione a salvare il bambino. Al Salone del Libro di Torino è andata in onda la prepotenza e l’impunità di una sedicente casa editrice apertamente fascista e legata ai seminatori d’odio di Casa Pound che, incredibilmente partecipa del dibattito editorial-culturale più importante d’Italia, proponendo un libro-intervista, una biografia, di Matteo Salvini, il ministro degli interni razzista e anti-migranti, che governa grazie ad una Costituzione repubblicana nata dalla Resistenza antifascista. A Casal Bruciato è invece di scena concretamente, senza mediazioni sedicenti «culturali», l’incendio dell’odio razziale contro i Rom direttamente appiccato da Casa Pound. Entrambe le situazioni corrispondono – ecco la novità e il cortocircuito – alla stessa matrice: essere ispirate dal ruolo governativo del ministro degli Interni in carica, Matteo Salvini, grazie al nefasto «contratto» con il M5S. Per entrambe la sinistra non c’è e la Politica e le istituzioni tacciono. E chi tace…
* Fonte: Tommaso Di Francesco, IL MANIFESTO[1]
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