A rischio la fusione Renault-Fca per il no giapponese, Agnelli in fuga
Per fusioni progressive fino all’uscita della famiglia Agnelli, nonostante le smentite poco convinte del caso. Ogni fusione nel mondo sempre più globale dell’auto è un risiko e un rischio. Nel caso di Renault-Fca le incognite sono innumerevoli. Le certezze al momento sono solo tre: la prima è che i giapponesi di Nissan – veri dominatori del gruppo franco-asiatico – non ne vogliono far parte. La seconda è che si tratta dell’unione di due debolezze: da una parte il ritardo tecnologico di Fca nelle nuove tecnologie e in Asia, la debolezza di Renault in Nord America. La terza è che Mike Manley come il suo predecessore Marchionne sono costretti a trovare un’alleanza in primis perché chi dà loro lavoro – la famiglia Agnelli tramite Exor – vuole diluire la sua presenza nell’auto diluendo ancor di più la presenza italiana nella seconda fusione fatta in soli 10 anni.
QUELLA CHE QUALCHE TROPPO compiaciuto commentatore italiano ha definito «il matrinomio del secolo» da ieri è al vaglio di Renault. Dopo le indiscrezioni di sabato che volevano i francesi come promotori, Fca ieri mattina ha provato a ribaltare la logica proponendo ufficialmente ai francesi una fusione alla pari con governance paritetica e una maggioranza di consiglieri indipendenti. Sarebbe il terzo costruttore di auto al mondo con 8,7 milioni di veicoli venduti, alle spalle di Volkswagen e Toyota. «Nessuno stabilimento chiuderà», ha assicurato il presidente John Elkann. In una lettera ai dipendenti Fca Manley prova a convincere anche Mitsubishi e Nissan e annuncia che «la nascita della nuova società potrebbe richiedere più di un anno». Nel caso la società capogruppo sarà – naturalmente – olandese.
Renault prenderà una decisione nella prima parte della prossima settimana.
SE BORSE E MERCATI FESTEGGIANO – Fca ha chiuso a più 7,9%, Exor a +6,1% a Milano, Renault a Parigi a più 12% – gli analisti dell’agenzia di rating sottolineano che «i due gruppi puntano fondamentalmente sugli stessi clienti e non hanno un forte marchio premium», perché «Alfa Romeo e Maserati non sono ancora concorrenti di Mercedes e Bmw» mentre l’alleanza funzionerà solo «se si riuscirà a unificare alcuni modelli sulla stessa piattaforma ma questo richiederà cambiamenti strutturali in Francia e in Italia», leggasi chiusure di stabilimenti.
IN ITALIA SI PRODUCONO MODELLI medio-alti che hanno molte sovrapposizioni con quelli sfornati dagli stabilimenti francesi. Gli analisti pensano che «alla luce della sovracapacità i due gruppi faranno fatica a mantenere tutti gli impianti».
La differenza fondamentale fra Renault e Fca risiede poi nella presenza statale che in Francia è al 15%. «I francesi sono attenti a difendere i loro interessi nazionali», sottolinea Gianluca Ficco della Uilm che difatti parla dell’alleanza come «opportunità e rischio allo stesso tempo».
Guardinga la Cgil che in una nota congiunta con la Fiom poi confermata dalle parole di Maurizio Landini sottolinea come «Fca ha dichiarato che l’operazione non comporterà alcuna chiusura di stabilimenti ma, in assenza, per ora, di indicazioni concrete sul piano industriale, è necessario che le stesse garanzie siano date sulla difesa dei livelli occupazionali e che l’azienda convochi un apposito incontro con tutte le organizzazioni sindacali», superando l’apartheid post Pomigliano a cui è ancora sottoposta la Fiom. «Tra gli azionisti del gruppo Renault – sottolineano Cgil e Fiom – vi è lo Stato francese. Anche il governo italiano dovrebbe coglierne l’importanza strategica».
Ma a sorpresa ieri è stato Matteo Salvini ad aprire alla presenza statale italiana: «Se fosse richiesta la presenza istituzionale italiana sarebbe doveroso esserci», ha detto benedicendo l’alleanza.
* Fonte: Massimo Franchi, IL MANIFESTO
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