by Giuliano Santoro * | 9 Aprile 2019 8:58
ROMA. Dopo i fatti di Torre Maura, e la cacciata di una sessantina di uomini, donne e bambini da un «centro di raccolta» che doveva sorgere nel quartiere, lo spettro del rom continua ad aleggiare nelle periferie romane. Ne fa le spese una famiglia con regolare assegnazione di un appartamento al Tiburtino, a Casal Bruciato, quartiere che ha una storia legata ai movimenti per il diritto all’abitare. Tutto comincia nella serata di domenica scorsa, in via Facchinetti, quando un gruppo di inquilini protesta contro l’arrivo del nuovo nucleo familiare assegnatario. La vicenda si svolge in un palazzo gestite dall’Ater, l’ente del comune di Roma che gestisce l’edilizia a canone agevolato.
LA MOBILITAZIONE prosegue e assume un segno politico ancora più evidente ieri pomeriggio, quando al gruppetto di inquilini si uniscono alcuni militanti di CasaPound. I «fascisti del terzo millennio» si presentano con piglio aggressivo e intonano il tormentone xenofobo sul «razzismo contro gli italiani». Dal comune rispondono: «La protesta colpisce una famiglia di 5 persone che aveva i requisiti, era in graduatoria». La presidente del municipio, la 5Stelle Roberta Della Casa, aggiunge: «Sicuramente non erano persone sgombrate da un campo, avevano tutte le carte in regola per avere questa casa». Una precisazione che non serve a placare gli animi e che in prospettiva rischia di essere controproducente, visto che l’unico modo per interrompere la spirale concentrazionaria che da ormai quasi trent’anni porta i circa 4mila rom che stanno nella capitale e che passano da una baraccopoli all’altra sarebbe proprio quella di dare loro una casa popolare, come dovrebbe avvenire per tutti gli altri che ne hanno diritto.
QUESTO È IL CONTESTO, che riguarda appunto il tema del diritto all’abitare e il rischio che questo diventi oggetto di dispute suprematiste. Ed è in questa situazione che piombano le parole di Luigi Di Maio. Da giorni, anche in vista del voto europeo, il capo politico del M5S è impegnato a posizionarsi come il moderato della coalizione gialloverde. È in questa veste che cerca di cavarsela fornendo una versione bipartisan in chiave legge-e-ordine della vicenda: «Il superamento dei campi rom è doveroso – dice – Non perché siano rom o meno, ma perché è una questione di giustizia. La legge vale per tutti. E sgomberiamo CasaPound, così come chiunque occupi in modo illegittimo un’abitazione». Gli fa eco la sindaca Raggi: «Paradossale che ad impedire l’ingresso in un appartamento siano gli stessi che occupano abusivamente un intero stabile in centro città».
MA A CASAL BRUCIATO, come a Torre Maura, finisce male: la famiglia assegnataria abbandona il palazzo scortata dalle forze dell’ordine. L’accaduto presenta molte incognite, formulate dal sindacato degli inquilini Asia Usb, che nel quartiere ha radicamento storico legato alle lotte per la casa. La prima riguarda la tempistica: come mai gli assegnatari si sono presentati alle 18 di una domenica e per di più senza essere accompagnati dai vigili urbani come accade in questi casi? La seconda interroga la destra romana, visto che nel giro di poco sul posto si sono precipitati alcuni esponenti di Fratelli d’Italia, tra quali il consigliere regionale Fabrizio Ghera. Infine: come era accaduto a Torre Maura, in molti hanno riconosciuto la disponibilità di chi ha gestito l’ordine pubblico nei confronti dei fascisti: «Quelli di CasaPound si sono schierati con i caschi in testa – dicono da Asia –
Se fosse accaduto ai nostri picchetti contro gli sfratti ci sarebbero venuti addosso con un bulldozer».
I PRESIDIANTI PROVANO a fare occupare l’appartamento conteso ad un nucleo composto da tre «italiani» che nel giro di poche ore sono costretti ad abbandonarlo. CasaPound prosegue in quello che i Radicali Italiani definiscono «tour dell’odio» e punta la bandiera nera dall’altra parte della città: alla periferia ovest di Casalotti. Dove non si capisce bene cosa contestino: paventano il rischio che sia in corso il trasferimento di alcune famiglie rom provenienti proprio dal centro smantellato in fretta e furia alla fine della scorsa settimana, ma non vi è traccia dell’arrivo neppure di pochi nuclei nei centri d’accoglienza presenti in zona da molti anni. Pare invece che i rom cacciati da Torre Maura abbiano esternato una preoccupazione su tutte ai volontari che li hanno incontrati: «Adesso dove andranno a scuola i nostri figli?».
* Fonte: Giuliano Santoro, IL MANIFESTO[1]
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