Processo al sistema Riace. Per i giudici di Locri «Mimmo Lucano favorì i clandestini»

Processo al sistema Riace. Per i giudici di Locri «Mimmo Lucano favorì i clandestini»

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Locri. Un rinvio a giudizio del tutto inatteso. Al termine dell’arringa difensiva i legali di Mimmo Lucano, Andrea Daqua e Antonio Mazzone, parevano soddisfatti per l’esito dell’udienza preliminare. La camera di consiglio era pronta a riunirsi di lì a poco per decidere se il sindaco sospeso di Riace, non presente in aula, andava mandato a processo oppure no per un’ipotesi accusatoria costruita nell’ottobre scorso dalla procura di Locri ma già smontata pezzo per pezzo prima dal Gip e poi anche dalla Suprema corte. Erano questi i motivi di fiducia della difesa. Se per la procura locrese, infatti, c’era un vero sistema criminale incentrato sull’accoglienza e sull’integrazione dei migranti, finora nessun altra toga aveva accolto tale tesi.

NON LO AVEVA FATTO, primo fra tutti, il gip Domenico di Croce opponendosi alla richiesta di arresto avanzata dagli inquirenti e, al contempo, cassando quattro quinti delle accuse mosse dai pm. Dei 15 capi d’accusa contestati il giudice nativo di Vasto (che, chissà perché, dopo qualche giorno sarebbe stato trasferito altrove), in effetti, ne aveva mantenuti appena due: favoreggiamento dell’immigrazione clandestina e irregolare gestione degli appalti della raccolta differenziata. Il resto del castello accusatorio era stato demolito dal Gip che nell’ordinanza scriveva di «congetture, errori procedurali grossolani, inesattezze». Tutto ciò, ad ogni modo, non valse ad evitare a Lucano la custodia cautelare ai domiciliari. La misura restrittiva venne poi derubricata dal Riesame di Reggio Calabria in divieto di dimora a Riace.

UN PROVVEDIMENTO, quello dell’esilio dal borgo della Locride, che a fine febbraio era stato a sua volta rivisto dalla Cassazione che aveva annullato con rinvio l’ordinanza in quanto «mancano indizi di comportamenti fraudolenti messi in atto da parte del sindaco Lucano per assegnare appalti», si legge nelle motivazioni. La Suprema corte ha precisato come a Riace non ci siano stati mai né ruberie, né malversazioni, né matrimoni di comodo. E l’appalto per la differenziata, scrivono gli ermellini, «è stato affidato in modo perfettamente regolare e non ci sono elementi per addebitarlo al solo sindaco perché frutto di una decisione collegiale di giunta e consiglio comunale, deliberata dopo aver chiesto pareri tecnici agli uffici competenti».

Certo è vero – sostiene la Cassazione – il sindaco ha aiutato la compagna etiope Lemlem nel (fallito) tentativo di portare il fratello di lei in Italia. Ma non si trattava affatto di un metodo o di un «sistema». E la procura – sottolinea ancora la Suprema corte – sebbene più volte abbia evocato i cosiddetti «matrimoni di comodo» come escamotage per garantire documenti regolari ai migranti non ha elementi solidi per avvalorare tale accusa. Per cui il verdetto del tribunale di Locri pareva orientato in direzione favorevole al sindaco, ovvero verso il non luogo a procedere. Questo, almeno, era l’auspicio del pool difensivo.

MA COME UN GIANO bifronte, quella stessa “giustizia” che poco prima aveva “riabilitato” Lucano e il «modello Riace» dopo appena una settimana, e quattro giorni di udienze, ha spedito il sindaco sospeso di Riace nelle forche caudine di un processo lungo e tortuoso. Perché, alla fine, dopo 7 ore di camera di consiglio, il sindaco è stato infatti rinviato a giudizio assieme ad altri 26 indagati nell’ambito dell’inchiesta denominata «Xenia». La decisione è stata letta dal Gup del tribunale di Locri, Amelia Monteleone. Il processo è stato fissato, per l’udienza di comparizione, l’11 giugno a Locri.

La posizione di altri tre indagati dovrà essere valutata in quanto stralciata dal troncone principale del procedimento per un difetto di notifica. Lucano e gli altri coimputati sono, dunque, accusati di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina e abuso d’ufficio. Sarà, così, il pubblico dibattimento a stabilire se Riace era l’epicentro di un sistema criminale oppure no.

Intanto, il Viminale e il suo ministro ossessionato da Lucano la propria sentenza l’hanno già emessa nel corso dell’udienza preliminare: si costituiranno parte civile.

* Fonte: Silvio Messinetti, IL MANIFESTO



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