Libia. Serraj allo sbando, Haftar avanza, smacco per Onu, Nato e Italia
In Tripolitania l’Italia ha il 70% per cento dei suoi interessi economici e del petrolio dell’Eni, insieme al gasdotto Green Stream che copre una parte delle nostre forniture: questo è il vero motivo per cui ci troviamo ad appoggiare un governo sostenuto da Turchia, Qatar e Fratelli Musulmani che non vuole più nessuno
E così, se nottetempo nessuno ferma il generale libico (con cittadinanza americana) Haftar, facciamo ciaone anche a Tripoli. Salvate almeno il soldato Serraj. Nel giorno del 70° compleanno ieri la Nato ha assistito a due eventi paradossali ma prevedibili.
Due stati membri, Turchia e Usa, sono sull’orlo dello scontro in Siria per i curdi, e in quella Libia, così pesantemente bombardata dall’Alleanza nel 2011 per eliminare Gheddafi, avanza nel caos più totale il generale Khalifa Haftar per far fuori il moribondo governo di Fayez Serraj a Tripoli, al cui capezzale era giunto persino il segretario generale dell’Onu.
È IL CASO di avvertire subito il comandante Salvini: non soltanto la Libia non è un porto sicuro – e non lo è mai stato – ma forse anche lui nella capitale libica non ci metterà piede per un po’.
Se cade Serraj, che avevamo portato in nave da Tunisi a Tripoli, per l’Italia è una sconfitta secca. In Tripolitania l’Italia ha il 70% dei suoi interessi economici e del petrolio dell’Eni, insieme al gasdotto Green Stream che copre una parte delle nostre forniture: questo è il vero motivo per cui ci troviamo ad appoggiare un governo sostenuto da Turchia, Qatar e Fratelli Musulmani che non vuole più nessuno.
SE È VERO che il Qatar ci ha ricompensato nell’ultimo anno e mezzo con una decina di miliardi di dollari di commesse militari, tra navi elicotteri e aerei, è altrettanto vero che il fronte internazionale anti-Tripoli e anti-Fratelli Musulmani si è rafforzato e ampliato dando appoggio ad Haftar, che per inciso oltre che libico è pure cittadino americano.
Sarebbe una figuraccia anche per le Nazioni Unite, perché ufficialmente quello di Tripoli è il governo riconosciuto dalla comunità internazionale. Mentre Haftar teneva impegnato Serraj e i suoi rivali con il fantasmatico dialogo politico mediato dalle Nazioni Unite, sul campo il generale spostava i suoi soldati verso Tripoli, facendoli avanzare oppure stringendo alleanze con le milizie di città utili ad aggirare la capitale.
Il segretario generale delle Nazioni unite Antonio Guterres è una brava persona ma non sveglissima in termini di strategie: è arrivato a Tripoli ieri twittando di essere «totalmente determinato a sostenere il processo politico in questo Paese per guidarlo verso la pace, la stabilità la democrazia e la prosperità». Che Libia ci sarà domani però dobbiamo ancora capirlo.
NON POSSIAMO dire che non fossimo informati, pur nel silenzio generale di governo e opposizione, dell’avanzata militare e diplomatica del generale Haftar. Per altro sono un paio d’anni che i russi si sono offerti ai governi italiani di mediare con l’uomo forte della Cirenaica senza mai ottenere un risposta. In realtà quando c’è da fare politica estera e rischiare la ghirba anche i nostri sovranisti sono assai poco sovrani.
È vero che di recente avevamo mandato a Bengasi il nostro ambasciatore Giuseppe Grimaldi Buccino ma per farsi ricevere dal generale ci aveva messo, non per colpa sua, tre giorni. Segnali inequivocabili di quanto contiamo poco o nulla anche sulla storica quarta sponda.
COME SI STAVANO mettendo le cose si era capito durante e dopo il vertice euro-arabo di Sharm el Sheik del 25 febbraio scorso dove era emerso che:
1) al generale egiziano Al Sisi, sponsor di Haftar insieme a Francia, Russia, Emirati e Arabia Saudita, era stato assegnato il ruolo di «guardiano» del Sud e della Libia
2) il generale Haftar, alleato della Francia, della Russia e dell’Egitto, stava avanzando anche nel Sud libico e aveva iniziato una manovra di aggiramento per conquistare la capitale e comunque stingerla in una morsa
3) Haftar è stato ricevuto dal principe saudita Mohammed bin Salman, il mandante dell’assassinio del giornali Jamal Khashoggi, che è l’ufficiale pagatore anche di tutte le operazioni contro i Fratelli Musulmani, dall’Egitto alla Libia.
4) in Libia erano arrivati il comandante dell’Africom americana Thomas Waldhauser e il ministro degli Esteri francese Jean-Yves Le Drian, e quest’ultimo aveva avuto anche un lungo colloquio proprio con il generale Haftar.
PER I FRANCESI Haftar è una sorta di «De Gaulle libico» ma a Parigi non hanno trascurato neppure i rapporti con il clan di Gheddafi e il figlio del Colonnello Saif Islam. Insomma ci hanno scavalcato da tutti i lati.
E se uno fosse proprio duro d’orecchio bastava guardare cosa stava accadendo sul terreno. Haftar aveva preso il controllo dell’importante giacimento libico El Feel, operato da Eni assieme alla Compagnia petrolifera nazionale libica (Noc), un’operazione avvenuta nell’ambito della campagna di conquista del Sud-Ovest con cui si era già impadronito dei pozzi di Sharara, i più importanti della Libia.
LE RECENTI conquiste avevano cambiato rapidamente le relazioni di potere in Libia. Persino in Germania avevano intuito che la Libia stava cadendo in altre mani. Al punto che l’Istituto tedesco per gli affari internazionali e di sicurezza (Swp), mentre la Germania si sfilava dalla missione Sophia, in un rapporto reso pubblico scriveva: «Haftar per Tripoli è diventato una minaccia esistenziale».
La minaccia è arrivata e in Libia, come avviene da tempo, non tocchiamo palla.
* Fonte: Alberto Negri, IL MANIFESTO
photo: By ليبي صح – Own work, CC0, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=20550012
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