Libia, cresce il bilancio della guerra: 147 vittime, quasi 20mila sfollati
Il bilancio delle vittime arriva a 147, di cui 13 feriti. Almeno 3.650 le famiglie senza casa
«Possiamo entrare?», dice in italiano la voce del cameraman libico della tv Alharar facendosi strada tra i detriti di una casa a più piani del quartiere semiperiferico di Abu Salim, centrata domenica da un razzo Grad delle forze di Haftar, ferendo non gravemente un membro della famiglia di sei persone che vi abitava.
Non è raro che i libici infarciscano i discorsi di frasi in italiano: anche nelle grida di vittoria riprese in un altro video di domenica dai militari misuratini della Forza di difesa di Tripoli, dopo l’abbattimento di un aereo della Cirenaica, oltre a «Allah u Akbar», urlano anche in italiano «Allah è Grande». Seguono le immagini del pilota e del copilota che si lanciano con i paracadute.
Il governo di accordo nazionale, l’esecutivo di Fayez Serraj uscito dal vertice di Skhirat in Marocco quattro anni fa con l’appoggio delle Nazioni Unite, denuncia il bombardamento su zone residenziali come «crimine di guerra», anche se non ci sono stati morti tra i civili (solo quel ferito della casa distrutta) e anche se l’ospedale di Ein Zara non è stato ancora colpito. I sobborghi di Ein Zara e Suwani sono stati anche ieri pomeriggio teatro di violenti scontri per strappare alle forze di Haftar due zone cadute sotto il loro controllo e la Mezzaluna rossa è intervenuta per portare in salvo altri 30 civili.
Il bilancio dell’undicesimo giorno di battaglia nella capitale vede aggiornare la stima dei morti a 147, di cui tredici civili – tre tra medici e paramedici – e 614 feriti, gli sfollati tra in residenti sono invece già 18.500 pari a 3.650 famiglie, 1.500 dei quali ospitati in rifugi collettivi, gli altri in case di parenti e amici.
L’Onu è particolarmente preoccupato per le sorti dei 1.500 migranti che si trovano detenuti nei tre centri di permanenza dei dintorni di Tripoli interessati dai combattimenti: il centro di Qasr Ben Gashir e quelli di Abu Salim e Gharyan.
Proprio quest’ultima cittadina, a una settantina di km dal centro, si prepara a un nuovo attacco, visto che nella notte di lunedì lì sono arrivati carri armati e rinforzi aviotrasportati da Tobruk. Secondo il qatariota Arabi21, a Gharyan sono arrivati droni e consiglieri militari francesi, come i 13 che, sempre secondo lo stesso sito, sono stati fermati dai doganieri tunisini alla frontiera di Ras Jdeir nei giorni scorsi mentre cercavano di penetrare, armati, in Libia. Dopo negoziati di alto livello, sono stati liberati: si erano detti «diplomatici».
Altri carri armati sono segnalati poi in direzione di Gasr Garabulli, cittadina chiamata in italiano Castelverde, dove l’Unhcr da due giorni distribuisce pacchi alimentari e generi di prima necessità. Da lì ci si attende una sortita in direzione di Sirte.
O meglio, le forze di Misurata si interrogano su dove sarà il prossimo attacco del Libyan national Army (Lna) per vincere la loro resistenza, dopo aver ottenuto l’appoggio dell’Egitto nell’incontro domenica al Cairo tra Haftar e il presidente al-Sisi. E nel frattempo avvertono un rafforzamento dei presidi dell’Lna nel Fezzan a guardia dei pozzi della Mezzaluna petrolifera.
Nella guerra delle informazioni vengono segnalati anche i tracciati di un aereo da trasporto truppe C130 egiziano diretto in Cirenaica e di un jet da ricognizione Awacs della Nato a largo delle coste libiche; in più vengono diffuse su internet le foto di un aereo-spia francese che si dice in rotta verso l’aeroporto di Misurata per supportare la difesa di Tripoli dall’offensiva del generale che ora ha la sua base a Bani Walid, una conca sormontata da alture.
La milizia di Tarhuna – 25 uomini con dieci mezzi militari – ieri si è arresa al 166° battaglione delle Forze di difesa di Tripoli. E a Bengasi il colonnello Abel Marfaun, capo dell’antiterrorismo della Cirenaica, è scampato per un soffio all’attentato dinamitardo che ha incenerito il Suv su cui viaggiava nell’area di Sidi Khalifa. A Tajoura la milizia locale ha arrestato un affiliato all’Isis.
Il premier Serraj alla vigilia dell’arrivo a Roma del suo vice Maitig – il misuratino tornato a essere il suo braccio destro dopo aver tentato più di una volta di sfiduciarlo – ha detto ai giornali italiani che Haftar con la sua avanzata sulla capitale ha bloccato la conferenza nazionale libica che avrebbe dovuto tenersi in questi giorni a Ghadames su iniziativa dell’inviato Onu Salamé.
Ha anche spinto Italia e Europa a sostenerlo paventando un’invasione di «800mila migranti potenzialmente pronti a partire» a cui si aggiungerebbero «i libici in fuga dalla guerra». Le ricostruzioni, più complesse, di come si sia arrivati a questa pericolosa escalation che rischia di avviare una guerra civile per interposte potenze del Golfo (una situazione «siriana» alle porte d’Italia) stanno sui giornali arabi. Sul sito Al Maghrebiya si segnala una riunione segreta della Fratellanza musulmana e dei capi delle milizie jihadiste nell’hotel Taj del centro di Misurata il 20 marzo.
Lì sarebbe stata pianificata una resistenza armata all’avanzata di Haftar per ripulire la capitale dalle milizie che da anni la tengono in ostaggio e gestiscono i lager per migranti, offensiva che secondo alcuni media arabi sarebbe stata concordata con lo stesso Serraj nel faccia a faccia di Abu Dhabi in previsione della conferenza nazionale di Ghadames. Impossibile verificarlo, visto che dall’incontro di Abu Dhabi non è uscito alcun documento scritto.
Per l’inviato Onu Salamé l’avanzata di Haftar non è una missione «antiterrorismo» – cioè contro i Fratelli musulmani, come dicono Haftar e al-Sisi – ma un vero e proprio «golpe».
* Fonte: Rachele Gonnelli, IL MANIFESTO
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