Le ONG devono reagire alla demonizzazione. Intervista a Marco De Ponte

by Chiara Muzzi | 6 Aprile 2019 8:59

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Parlare di diseguaglianze significa parlare di diritti e di democrazia. Da qui occorre partire per affrontare i crescenti squilibri, economici e di potere, tra le persone. Anche le Nazioni Unite, con l’Agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile, hanno sancito che la sostenibilità è questione non solo ambientale ma sociale ed economica, che quindi chiama direttamente in causa le ineguaglianze e il loro superamento. Senza redistribuzione delle ricchezze vi è erosione progressiva dei diritti e della stessa convivenza democratica. Per Marco De Ponte, segretario generale di ActionAid Italia, questa situazione sta mettendo in crisi uno dei valori e dei collanti delle società democratiche, la solidarietà, così che «in una società sempre più atomizzata, concentrata sull’oggi e sui bisogni individuali, chi si batte per i diritti di tutti, per la salvaguardia del bene comune e la riduzione delle ingiustizie rischia facilmente la demonizzazione». Se vogliono continuare a costruire cambiamento e giustizia sociale, promuovendo potere dal basso, le Organizzazioni Non Governative non possono limitarsi alla supplenza e a un ruolo ancillare, ma devono prendere consapevolmente parte al dibattito pubblico e politico, proponendo e rivendicando non solo la propria pratica ma anche la propria visione.

 

Rapporto Diritti Globali: Disuguaglianze, mancata redistribuzione, squilibrio nel potere e nella ricchezza tra persone e Paesi sono aumentate anche nel 2018. È giusto dire che questa tendenza si traduce in una progressiva erosione degli spazi democratici e dei diritti nel mondo?

Marco De Ponte: C’è una stretta connessione tra diritti, democrazia e disuguaglianze. Senza un’analisi della distribuzione della ricchezza, concetti come PIL e crescita globale rischiano di restare solo dei contenitori vuoti. Gli squilibri non si traducono infatti solo in un mancato sviluppo economico, ma anche in una differenza di potere tra le persone e nella progressiva diminuzione dell’accesso ai diritti fondamentali per i più deboli.

Anche le Nazioni Unite, con l’approvazione dell’Agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile nel settembre del 2015, hanno stabilito che la riduzione delle disuguaglianze è ormai un requisito fondamentale per lo sviluppo, superando l’idea che la sostenibilità sia un tema legato esclusivamente all’ambiente a vantaggio di una visione che comprende invece anche l’economia e la società. L’Obiettivo 10 punta a ridurre l’ineguaglianza all’interno delle nazioni e fra nazioni diverse, attraverso differenti modalità, tra cui il sostegno ai redditi più bassi e la promozione dell’inclusione sociale, economica e politica di tutti.

L’ultimo Rapporto OCSE Education at a glance 2018, pubblicato a settembre, ad esempio, sottolinea come anche nel campo dell’istruzione sia necessario da parte dei governi un impegno maggiore per colmare l’attuale gap nell’accesso causato dalle disuguaglianze. Chi proviene da un contesto sociale disagiato, infatti, ha sempre minori possibilità di accedere agli studi superiori e universitari. La disuguaglianza economica, quindi, si traduce immediatamente in una disuguaglianza nell’accesso al diritto fondamentale all’istruzione e in un fattore determinante delle chance di vita di individui, famiglie, collettività.

Di qui è facile capire come la mancata redistribuzione delle risorse e la conseguente erosione dei diritti stiano minando sempre di più le basi della convivenza democratica, trovandosi spesso all’origine del conflitto sociale. Le disuguaglianze generano paura, ostilità, percezione del diverso come nemico, domanda di autoritarismo, bisogno di protezione, tutti fenomeni ai quali oggi stiamo assistendo anche in Europa e che sono destinati a influenzare in modo determinante le prossime elezioni europee. E si traducono anche, nei soggetti economicamente svantaggiati, in un calo della partecipazione attiva alla cittadinanza e in una progressiva esclusione sociale.

Le disuguaglianze portano con sé dunque lo svuotamento dei valori di una società solidale e cooperante, l’inevitabile disgregazione del concetto stesso di solidarietà che è alla base di molte democrazie occidentali.

Conflitti, povertà e scarso accesso alle risorse generano crisi come quella migratoria, che sta mettendo a dura prova la tenuta delle democrazie occidentali, già percepite da larga parte dell’opinione pubblica come modelli distanti e sempre più incapaci di rispondere ai bisogni individuali.

In questo contesto, è chiaro che anche il lavoro e l’impegno delle Organizzazioni Non Governative (ONG), che difendono i diritti dei cittadini, proteggono i più deboli, assistono le vittime di guerre ed esclusione sociale, viene spesso distorto e messo in discussione. In una società sempre più atomizzata, concentrata sull’oggi e sui bisogni individuali, chi si batte per i diritti di tutti, per la salvaguardia del bene comune e la riduzione delle ingiustizie rischia facilmente la demonizzazione.

Come ActionAid pensiamo, e lo abbiamo scritto anche nella nostra nuova strategia Agorà 2028, che per superare le disuguaglianze e ribaltare lo squilibrio di potere, sia necessario costruire il potere dal basso. Solo le persone organizzate e attive possono sviluppare e realizzare un cambiamento, tenendo insieme indignazione e ragionamento, progettualità a lungo termine. E il ruolo delle ONG, della società civile organizzata, può essere assolutamente determinante, aumentando la consapevolezza e l’empowerment dei cittadini e dando loro voce. Una democrazia di qualità si regge soltanto quando i suoi pilastri sono ben saldi e la cittadinanza attiva viene vissuta pienamente.

 

RDG: Nell’attuale contesto, dunque, la società civile e le Organizzazioni Non Governative sono chiamate a un cambio di visione e di prospettiva del proprio ruolo?

MDP: Noi di ActionAid ne siamo assolutamente convinti. Crediamo che sia ormai giunto il momento per le ONG di avere un maggiore protagonismo politico se vogliamo realizzare davvero il cambiamento necessario e trasformare alle radici una società globale ingiusta, che riduce drammaticamente lo spazio dei diritti e l’accesso alle risorse economiche e produttive.

Già oggi le ONG sono di fatto in politica, quando per politica intendiamo l’amministrazione della polis, del bene comune. Lo sono quando suppliscono alle mancanze dei governi nazionali o li sostituiscono fornendo quei servizi alle persone che lo Stato centrale dovrebbe garantire a tutti. Lo sono quando aiutano i cittadini che decidono di organizzarsi a mettersi in rete, a far sentire più forte la propria voce su temi che riguardano da vicino la loro comunità, a reclamare diritti.

Ma nella fase in cui siamo, in cui vengono messi continuamente e ovunque in discussione diritti fondamentali come la giustizia sociale, l’accesso alle cure, all’educazione, serve un salto di qualità. Bisogna acquisire una maggiore consapevolezza del proprio ruolo e non avere paura di rivendicarlo nell’agorà, prendendo parte al dibattito pubblico con la propria visione, le proprie istanze, forti del sostegno di milioni di persone nel mondo e in Italia e dell’impegno profuso da anni a sostegno delle persone, sul territorio. Molte ONG hanno ancora timore a ingaggiarsi direttamente, a “entrare in politica”. Continuano a limitarsi a offrire soluzioni al sistema dominante, senza cercare davvero di trasformarlo alla radice. Una vera trasformazione è possibile solo se si ha una visione chiara sulla direzione da prendere e ci si impegna fino in fondo, coinvolgendo quante più persone nei processi democratici, rendendole consapevoli dei loro diritti esigibili. E lo si può fare con la credibilità di chi da anni è impegnato quotidianamente, di chi è trasparente e coltiva la partecipazione anche all’interno della propria organizzazione. Altrimenti si forniscono solo soluzioni individuali o temporanee, che possono certamente cambiare in meglio la vita di una persona e della sua famiglia, ma difficilmente il destino di un’intera comunità.

Nella nostra visione, le ONG si impegnano ogni giorno per migliorare la qualità della democrazia. Una democrazia sana, vissuta con la partecipazione attiva e quotidiana di cittadini consapevoli, può guidare comunità, popoli e individui lungo il cammino di uno sviluppo sostenibile e di una progettazione del proprio futuro. I pilastri di questo cammino, individuati nella strategia di ActionAid, sono diritti, redistribuzione e resilienza sociale. Tre pilastri che si sostengono reciprocamente, perché i diritti non potranno mai essere esigibili senza una ridistribuzione delle risorse e del potere e pienamente realizzati senza il rafforzamento delle comunità e della loro partecipazione civica. La disuguaglianza deteriora la qualità della democrazia e mette a rischio la tenuta politica di un sistema.

 

RDG: In questo momento storico quale può essere il contributo concreto delle ONG in Europa e in Italia in particolare al miglioramento delle condizioni di vita dei cittadini?

MDP: Anche in molti Paesi europei sta soffiando con forza un vento autoritario che mette a rischio l’esercizio dei diritti dei cittadini. Basti pensare alle censure nei confronti della stampa, alle minacce di limitazione della libertà di espressione, alla sempre più complessa gestione del delicato equilibrio tra sicurezza e libertà, alle drammatiche vicende che toccano la vita di migliaia di migranti che cercano di arrivare nel nostro continente.

Il ruolo stesso delle ONG è stato messo spesso in discussione. Basti pensare al continuo processo di delegittimazione nei confronti delle organizzazioni umanitarie che si impegnano nelle acque del Mar Mediterraneo per la ricerca e il salvataggio di vite umane. Occorre reagire, insieme agli altri attori della società civile, mettere a sistema energie e competenze dei cittadini, entrando nel dibattito pubblico e politico, senza paura di difendere e sostenere le proprie posizioni. Gli attori civici possono fare la differenza solo se sono consapevoli della forza del ruolo che hanno, dei diritti che possono reclamare, soprattutto in una fase di appannamento del ruolo dei partiti tradizionali.

La differenza tra la politica dei partiti e quella che possono fare le organizzazioni di cittadinanza è chiara, e risiede nel fatto che nell’ultimo caso non si hanno leader che ambiscono alla rappresentanza nelle istituzioni. Una volta ribadito questo aspetto, non dobbiamo più avere incertezze e rivendicare con convinzione un ruolo politico. Proprio nei momenti chiave della vita di un Paese, come quello attuale in cui libertà e diritti sembrano messi in discussione, le ONG devono rivendicare la loro ambizione programmatica e il potere delle persone di trasformare alla radice le società, combattendo le disuguaglianze e chiedendo allo Stato di svolgere a pieno il proprio ruolo. Come recita l’articolo 3 della nostra Costituzione: «È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese».

 

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Marco De Ponte: è dal 2001 Segretario Generale di ActionAid Italia. È responsabile della Federazione internazionale per la crescita in nuovi Paesi. Dopo la laurea in Relazioni Internazionali a Padova ha conseguito un Master a Londra in Understanding and securing human rights. Ha collaborato con diverse università italiane e con la European Human Rights Foundation a Bruxelles. È autore di diverse pubblicazioni sugli strumenti giuridici usati nelle fasi di riconciliazione nazionale al termine di conflitti armati e ha svolto vari incarichi per Amnesty International. È stato fondatore e primo presidente dell’Agenzia Italiana per la Risposta alle Emergenze (AGIRE), attualmente è componente della direzione nazionale di CittadinanzAttiva e parte del Comitato Scientifico della Fondazione Campagna Amica. Nel 2011 ha vinto il Premio Eccellenza di ManagerItalia.

 

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