Imprese e diritti umani, ancora un ossimoro. Intervista a Marta Bordignon

by Alberto Zoratti | 29 Aprile 2019 7:36

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L’attività economica, soprattutto in un regime di economia di mercato, spesso va in conflitto con i diritti sociali e con la tutela ambientale. In alcuni casi impatta persino sui diritti umani, minacciando il diritto all’esistenza di intere comunità, soprattutto nel caso di grandi investimenti: attivisti minacciati o uccisi, spostamento forzato delle persone, inquinamento ambientale.

A livello istituzionale sono iniziati alcuni percorsi per provare ad affrontare e risolvere situazioni come queste. Ma se è evidente il punto di partenza, non è ancora chiaro quale sarà l’approdo. Ne abbiamo parlato con Marta Bordignon, presidente di Human Rights International Corner.

 

Rapporto sui Diritti Globali: Imprese, diritti umani, responsabilità sociale delle imprese: ormai da molti anni si sta ragionando di sostenibilità anche per ciò che riguarda le aziende. Che convergenze e divergenze ci sono tra questi concetti così collegati?

Marta Bordignon: Il tema imprese e diritti umani, così come quello della responsabilità sociale, pur avendo diversi aspetti in comune sono nati e si sono sviluppati a partire da esigenze e concetti diversi. La responsabilità sociale d’impresa, infatti, nasce intorno agli anni Sessanta del XX secolo e si sviluppa a partire dal concetto, basato sulla totale volontarietà, che le imprese debbano occuparsi dell’impatto ambientale e sociale della loro attività. Imprese e diritti umani, invece, è una tematica emersa all’interno della Comunità Internazionale già da alcuni decenni, ma ha ricevuto una particolare attenzione solo dal 2011, anno in cui il Consiglio dei Diritti Umani delle Nazioni Unite ha adottato i Principi Guida sul tema (UN Guiding Principles on Business and Human Rights). Anche se entrambi questi concetti si fondano sulla totale volontarietà da parte di tutti gli stakeholder coinvolti, e in particolar modo delle imprese, di proteggere e rispettare i diritti umani dal possibile impatto negativo dell’attività dei privati, negli ultimi anni si è assistito sicuramente a un’evoluzione in senso più vincolante, anche grazie alla sempre maggiore attenzione da parte dei governi e di alcune organizzazioni internazionali sul tema della sostenibilità, dell’ambiente, e più in generale dei diritti umani.

 

RDG: Esistono diversi processi internazionali che focalizzano l’impatto ambientale e sociale delle pratiche di impresa? Quali sono e come si stanno sviluppando?

MB: A livello di fonti giuridiche, oltre ai già citati Principi Guida delle Nazioni Unite, esistono altri strumenti legislativi, seppur non vincolanti, a livello internazionale che sono ormai considerati come parte integrante delle fonti internazionali del sistema Imprese e Diritti Umani. Tra questi possiamo ricordare: il Global Compact delle Nazioni Unite – voluto nel 1999 dall’allora Segretario Generale dell’ONU Kofi Annan; le Linee Guida per le Imprese Multinazionali dell’OCSE – aggiornate con l’inserimento di un capitolo specifico sui diritti umani proprio nel 2011; alcune tra le convenzioni più rilevanti dell’ILO – le otto cosiddette Core Conventions; infine, alcuni standard internazionali, come la ISO 26000 che fornisce linee guida proprio sulla Responsabilità Sociale d’Impresa.

In merito, invece, a processi internazionali in atto, nel 2014 l’Ecuador, con il supporto del Sud Africa e di altri Stati emergenti, ha proposto l’apertura dei negoziati di un trattato internazionale in materia di imprese e diritti umani, sempre in ambito Nazioni Unite. Attualmente, è disponibile una prima bozza redatta dal governo ecuadoriano e che verrà discussa nella quarta sessione plenaria del gruppo di lavoro intergovernativo (Open-ended Interngovernmental Working Group, IGWG) che si riunisce ormai da quattro anni ogni ottobre a Ginevra.

Ovviamente, le critiche, soprattutto la parte dei Paesi occidentali dove hanno sede la maggior parte delle imprese multinazionali del mondo, non mancano, con particolare riferimento ad alcuni aspetti che dovranno necessariamente essere affrontati durante la negoziazione, quali ad esempio la dimensione extraterritoriale della responsabilità delle imprese, l’accesso alla giustizia per le vittime e le fonti dei diritti umani rilevanti.

 

RDG: A Ginevra il lavoro su Business and Human Rights sembra procedere speditamente, dopo alcuni anni di rallentamento. Quali sono i principali obiettivi che potrebbero essere raggiunti nei prossimi anni?

MB: Facendo riferimento proprio alla bozza di trattato che affronta ora le prime fasi della negoziazione, sicuramente l’adozione di uno strumento legislativo vincolante a livello internazionale potrebbe essere uno dei principali obiettivi a essere raggiunto dalle Nazioni Unite in questo ambito nei prossimi anni. A ogni modo, il processo di negoziazione, conclusione e ratifica di qualunque trattato internazionale è solitamente lungo, complesso e abbastanza imprevedibile riguardo alle tempistiche. Potrebbero quindi volerci molti anni tra l’adozione del trattato e la sua entrata in vigore, dato che, come è prevedibile, il numero degli Stati aderenti potrebbe essere in parte limitato da interessi economici più forti. Al di là del trattato, quindi, il Consiglio dei Diritti Umani dell’ONU, ma ancor di più il Gruppo di Lavoro Imprese e Diritti Umani – voluto nel 2011 dal professor John Ruggie, Rappresentante Speciale dell’ONU in questa materia e autore dei Principi Guida – stanno lavorando per sensibilizzare e supportare governi, imprese, associazioni di categoria e società civile al fine di individuare soluzioni alternative per garantire una maggior tutela per le vittime di violazioni dei diritti umani compiute da enti privati. Nello specifico, il Gruppo di Lavoro ONU sta incentrando la propria attenzione sul secondo pilastro di Principi Guida, ovvero la responsabilità delle imprese di rispettare i diritti umani, promuovendo una maggiore adesione di tutte le imprese, dalle multinazionali a quelle di piccola e media dimensione, all’attuazione del cosiddetto processo di Human Rights Due Diligence (HRDD).

Infine, essendo gli Stati i principali attori ai quali le Nazioni Unite possono rivolgersi, i cinque esperti del Gruppo di Lavoro stanno lavorando per aiutare i Governi con una serie di linee guida per la redazione dei Piani di Azione Nazionale, che a oggi risultano essere il principale strumento attraverso il quale gli Stati stanno manifestando il loro interesse e il loro impegno per la protezione dei diritti umani nell’ambito dell’attività di impresa.

 

RDG: Come HRIC seguite diversi casi specifici, con risultati apprezzabili. Qual è il contributo degli Human Rights Defenders (HRDs) al buon esito delle controversie?

MB: Sia che si tratti di controversie davanti a organi giudiziari o non-giudiziari, come il Punto di Contatto Nazionale OCSE, il ruolo degli HRDs è essenziale. L’Associazione HRIC, così come i legali che seguono i casi specifici, dipendono completamente dalle informazioni e dai documenti che vengono loro forniti dagli Human Rights Defenders, che si occupano in loco del caso. Il loro impulso, la conoscenza del contesto in cui operano e soprattutto la capacità di coinvolgere attivamente le comunità interessate dalle violazioni dei diritti umani permette a chi come noi li sostiene di poter istruire un caso dal punto di vista legale.

 

RDG: Parlare di imprese e diritti umani significa impegnarsi per la tutela dei diritti degli Human Rights Defenders. Come è oggi la situazione e quali passi in avanti si stanno facendo?

MB: Parlare di imprese e diritti umani e dei diritti degli HRDs, almeno in Italia, sembra un argomento non solo complesso, ma anche molto distante dalla nostra realtà. Invece sono molti coloro che, sia come individui sia come organizzazioni, possono essere considerati difensori dei diritti umani e che combattono a diverso livello, e sicuramente con diversi strumenti a loro disposizione, le azioni poco virtuose e dal possibile impatto negativo delle imprese sui diritti umani, sia a livello locale sia nazionale. Anche la nostra associazione, che come già detto sostiene in diversi modi le vittime di violazioni dei diritti umani, aiutandole nel vedersi assicurato l’accesso alla giustizia, potrebbe essere annoverata, pur nel suo piccolo, tra gli HRDs. Sicuramente molto c’è ancora da fare, sia in generale sia nello specifico settore di imprese e diritti umani: comunque, anche attraverso la rete “In Difesa Di”, che coinvolge più di 40 ONG italiane impegnate nel difendere i difensori dei diritti umani, si sta cercando di ottenere una sempre maggior attenzione e disponibilità da parte delle istituzioni italiane nello svolgere il compito di tutelare coloro che a loro volta difendono i diritti umani nel mondo.

 

RDG: In Italia stanno nascendo campagne e coalizioni sul tema imprese e diritti e per la protezione degli HRDs. Quali sviluppi potrebbero avere?

MB: A oggi, in Italia esiste un coordinamento informale di alcune tra le principali ONG e associazioni che a diverso titolo si occupano di imprese e diritti umani. Pur non essendo ancora formalmente costituito, questo coordinamento ormai da più di un anno sta lavorando a diversi livelli, ma soprattutto mantenendo un dialogo aperto e costruttivo con il Comitato Interministeriale per i Diritti Umani (CIDU), per presentare alcune tra le principali istanze che la società civile italiana sta sostenendo, quali: l’effettiva implementazione del Piano d’Azione Nazionale adottato dal governo italiano nel dicembre 2016 e attualmente in fase di revisione di medio termine (fase che si dovrebbe concludere a ottobre 2018); la conformità delle imprese italiane a quanto previsto dalla Direttiva europea 2014/95/UE sulla comunicazione delle informazioni di carattere non finanziario, recepita dall’Italia nel gennaio 2017 e completata dal Regolamento Consob del gennaio 2018, contenente i criteri per la pubblicazione dei rapporti di carattere non finanziario; la sensibilizzazione del governo italiano in merito all’adozione del trattato internazionale su imprese e diritti umani (attualmente, l’Italia si è allineata alla posizione espressa in sede di Consiglio dei Diritti Umani a Ginevra dall’Unione Europea, che è sostanzialmente critica nei confronti di alcune proposte dell’Ecuador soprattutto in merito a quali siano le imprese a cui il trattato debba rivolgersi).

 

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Marta Bordignon: dottore di ricerca in diritto pubblico internazionale presso l’Università di Roma “Tor Vergata”, con una tesi sull’implementazione da parte degli Stati – in particolare Italia, Regno Unito e Spagna – e dell’Unione Europea dei Principi Guida ONU in materia di Impresa e Diritti Umani. Cofondatrice e Presidente dell’Associazione Human Rights International Corner (HRIC – www.humanrightsic.com). Assistente di ricerca e membro del Gruppo di Ricerca “The implementation of the UN Guiding Principles on Business and Human Rights by the European Union and its Member States” presso l’Università di Siviglia (Spagna). Membro del Comitato di Coordinamento del Gruppo di Interesse “International Business and Human Rights” della Società Europea di Diritto Internazionale (ESIL). Professore di Politica Europea Contemporanea presso la Temple University, Campus di Roma.

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