Decreto “Crescita”. Privatizzazioni e condoni, la ripresa economica a norma di legge
Per il ministro dei beni culturali (Mibact) è «inaccettabile il taglio a 90 giorni del parere delle soprintendenze sui beni tutelati»
La crescita si fa con i condoni, le privatizzazioni degli immobili pubblici, il taglio a 90 giorni dei tempi per la risposta delle soprintendenze ai lavori dei privati sui beni tutelati. Nel pieno della tenzone sul decreto più pazzo del momento, quello sulla «crescita», sul tavolo dei consiglio dei ministri dovrebbe arrivare il dodicesimo condono della legislatura populista. insieme alla tormentata bozza sui rimborsi ai truffati delle banche. In un articolo 14 bis è previsto l’allargamento della «rottamazione» delle cartelle esattoriali a regioni, province, città metropolitane e comuni.
QUESTI ENTI dovranno stabilire, entro sessanta giorni dall’entrata in vigore della legge, la neutralizzazione delle multe e delle imposte locali la cui riscossione non è stata affidata all’agenzia delle «entrate-riscossioni», l’ex Equitalia così pudicamente ribattezzata. Laddove sarà possibile, e richiesto, arriverà l’aiuto gialloverde. I consigli comunali avranno dunque due mesi di tempo per decidere quali arretrati, e su quali anni, prevedere la rottamazione, nell’ambito dei percorsi già indicati. A poche settimane dalle elezioni europee del 26 maggio si tratta di un condono che ha tutta l’aria elettorale. Anche perché nello stesso giorno ci saranno le elezioni in migliaia di comuni.
Nel turbolento «preconsiglio» dei ministri è continuato lo scontro con il ministero dei beni culturali sulla norma del decreto «crescita» che intende accelerare i lavori dei privati proprietari dei beni culturali tutelati. I rappresentanti del Mibact avrebbero ribadito l’irricevibilità della norma che taglia da 120 a 90 giorni i tempi per la risposta delle soprintendenze, poi scatta il silenzio assenso. Così come è stata formulata la norma resta lontana dalle intenzioni del ministro Alberto Bonisoli.
IN UNA BOZZA si prevede, inoltre, un’altra iniezione di dismissioni immobiliari estesa agli enti territoriali. L’intenzione sarebbe quella di «rafforzare» il piano-monstre di privatizzazioni ipotizzato dal governo nella legge di bilancio. L’80 per cento di questi beni da dismettere è di proprietà degli enti locali. Nella manovra è stata rilanciata una prospettiva di scarsa attuabilità, considerata anche la situazione del mercato, sulla quale non risultano al momento essere stati compiuti passi decisivi. I numeri snocciolati fanno comunque impressione. Per raggiungere la faticosa intesa con Bruxelles sui conti il governo ha aggiunto l’ipotesi di privatizzare immobili pari a 950 milioni di euro in più rispetto ai già previsti 640 milioni. Complessivamente nei prossimi mesi l’esecutivo intende vendere proprietà il cui valore sfiora 1,6 miliardi di euro. In prospettiva, per il 2020 e 2021, la vendita del mattone pubblico ha previsto importi da 150 milioni all’anno, che si sommano ai 600 milioni annui già programmati. Tutta questa manovra si regge su ipotesi non confortate da quanto è accaduto negli ultimi anni. Secondo l’Ufficio parlamentare di bilancio il ricorrente desiderio di vendere gli immobili non ha mai fruttato ai privatizzatori di tutti i colori mai oltre il miliardo. Considerata la crisi economica in arrivo la previsione può essere ancora inferiore a questo giro.
IL TESTO BALLERINO potrà essere approvato anche «salvo intese», com’è accaduto ancora una volta per lo «sblocca cantieri» a rischio di «porcate» (così le ha definite la Cgil), in corso di revisione in questi giorni. Un altro capitolo dell’«omnibus» è quello per il fondo sulla «prima casa». L’ammontare del rifinanziamento per il fondo di garanzia, istituito nel 2014 e destinato all’acquisto dell’abitazione, resta incerto. Si è parlato di spiccioli: prima di 200 milioni di euro, dimezzati a 100. L’idea-spot, di cui si è sentita la necessità dopo lo scontro tra Lega e Cinque Stelle in occasione delle giornate del convegno sulla famiglia a Verona, è stata presentata da Di Maio come un aiuto alle coppie dei precari. Si tratta di una garanzia, pari al 50% della quota capitale sui mutui ipotecari non superiori a 250 mila euro per l’acquisto o una ristrutturazione di abitazioni non di lusso, da usare come residenza principale. Il fondo non è mai stato in grado di soddisfare le domande che sono arrivate in questi anni.
* Fonte: Roberto Ciccarelli, IL MANIFESTO
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