Crisi libica. Qatar, l’Italia in compagnia dell’Emirato sbagliato
Così, per farci intendere come funziona, ci hanno mandato Haftar nel cortile di casa, a Tripoli
Pensavi di viaggiare in business class e ti trovi appollaiato su uno scomodo ma costoso strapuntino. È la sensazione che dà il nostro governo nella crisi libica. Per mesi ha fatto finta di non accorgersi di nulla, ha fatto credere che la soluzione fosse chiudere i porti.
Con affermazioni fuori dalla realtà – la Libia è un porto sicuro – e ora si trova sotto ricatto del suo fantoccio Serraj che minaccia l’arrivo di 800mila profughi, non più migranti ma rifugiati di guerra. Ecco dove ha portato la fantomatica «cabina di regia». Deve solo sperare che fallisca la guerra lampo del generale Khalifa Haftar.
Cose che succedono quando scegli le persone sbagliate e l’emirato sbagliato. Unica giustificazione: con la caduta di Gheddafi nel 2011, ha ereditato la peggiore sconfitta italiana dalla seconda guerra mondiale, aggravata dai comportamenti dei governi di allora e successivi. Il premier Conte il 3 aprile – quando era già cominciata l’offensiva di Haftar nel sud sui pozzi dell’Eni – arrivava in Qatar dove era stato anche un Salvini entusiasta: il ministro si era fatto fotografare imbracciando un mitra alla fiera delle armi e aveva totalmente accantonato le accuse rivolte in passato a Doha di fomentare il terrorismo. Gli affari sono affari.
Con il Qatar non si vince nessuna guerra però abbiamo venduto all’Emirato 10 miliardi di dollari in armi, è uno dei maggiori investitori in Italia e finanzia i Fratelli Musulmani pure qui. Pensate un po’ come questa politica possa essere gradita a Egitto, Francia, Russia, Golfo e Stati uniti che in maniera più o meno esplicita preferiscono Haftar a Serraj, un governo appoggiato da Doha e Turchia e che noi stessi abbiamo portato in nave da Tunisi a Tripoli. Sarà pure riconosciuto dall’Onu ma neppure i libici lo vogliono, come scriveva domenica sul manifesto Tommaso Di Francesco.
Gli italiani amano rappresentarsi come equanimi esponenti di un mondo di frutta candita, dove tutto si aggiusta e loro fanno i «facilitatori», annunciando soluzioni di pura fantasia: ieri Conte ha parlato di una «stabilizzazione definitiva» della Libia che solo lui vede. Anche sulla Sponda Sud si profila un «anno bellissimo»? In realtà siamo schierati eccome, ma non vogliamo prenderci responsabilità. Paghiamo e siamo pagati.
La stampa stenta a fare le connessioni. Lo dimostrano gli articoli sui Qatar Papers, il libro scritto dai giornalisti francesi Christian Chesnot e Georges Malbrunot che rivela i finanziamenti di Doha a moschee e centri islamici in Europa: 72 milioni di euro di cui 22 solo in Italia. Scatta così l’allarme sui legami del Qatar con i Fratelli Musulmani. Non uno che ricordi le forniture di armi all’emiro Al Thani: in poco più di un anno 9 miliardi di euro tra navi ed elicotteri. Magari così ci spieghiamo meglio come stanno le cose, vero?
Il Qatar per l’Italia è una piccola Sparta del Golfo. Stiamo armando l’emirato sotto embargo dell’Arabia saudita e dei suoi alleati che accusano Doha, insieme alla Turchia, di proteggere i Fratelli Musulmani e il loro capo Yussuf al Qaradawi, ritenuti con il loro Islam politico un’insidia letale da autocrati, generali e monarchie assolute.
La stessa cosa che pensa la nuova giunta militare golpista in Sudan sostenuta da Riad e dal Cairo. Così come i qatarini sono invisi per i finanziamenti a Hamas e i rapporti con l’Iran, il vero grande nemico di Usa, Israele e della «Nato araba», voluta da Trump, con Egitto, Arabia saudita ed Emirati e Israele a fare da supervisore.
In poco più di un anno abbiamo venduto a Doha 7 navi da guerra Fincantieri (4 miliardi di euro), 28 elicotteri NH 90 (3 miliardi), inoltre è stata siglata un’intesa da oltre 6 miliardi di euro per 24 caccia Typhoon del consorzio Eurofighter, di cui Leonardo-Finmeccanica ha una quota del 36 per cento. Posti di lavoro, che diamine.
Aerei per altro venduti da Londra anche al principe saudita Mohammed bin Salman, mandante dell’omicidio Khashoggi. Non che gli altri lesino le forniture belliche a Doha. Macron ha venduto i caccia Rafale e gli Airbus (14 miliardi di dollari), gli Usa i bombardieri F-15 (15 miliardi) e i qatarini sono tra i maggiori investitori in Germania. Ma i nostri alleati e concorrenti sanno dove tira il vento. Per questo il ministro degli Esteri del Qatar è passato prima da loro che a Roma.
L’emirato è un grande produttore di gas, in partnership con l’Iran – sotto sanzioni americane – e ha acquistato in Italia marchi della moda (Valentino), grandi alberghi e la Meridiana (AirItaly) dall’Agha Khan. La Qatar Investment Authority (Qia) è un colosso da 335 miliardi di dollari: l’Italia non si può permettere di trattare male l’Emiro.
Non può stupire quindi se nel libro di Malbrunot viene citata una lettera di al Qaradawi in cui lo sceicco esorta a donare generosamente ai suoi rappresentanti in Lombardia. Bisogna essere franchi. Con l’Emiro del Qatar, mentre lui finanziava centri islamici, ospedali e università, comprandosi aziende, armi e manager, l’Italia si è messa allegramente alla cassa chiudendo un occhio, e forse due, sui Fratelli Musulmani, qui e in Libia. Così, per farci intendere come funziona, ci hanno mandato Haftar nel cortile di casa, a Tripoli. E ora siamo caduti dalla poltrona allo strapuntino.
* Fonte: Alberto Negri, IL MANIFESTO
photo: Jim Mattis [CC BY 2.0 (https://creativecommons.org/licenses/by/2.0)]
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