by Claudia Fanti * | 9 Marzo 2019 10:33
È stato un black-out elettrico di proporzioni inedite quello che a partire dal pomeriggio del 7 marzo ha lasciato al buio Caracas e buona parte del Venezuela, provocando, tra l’altro, l’interruzione del servizio della metropolitana e dell’aeroporto internazionale di Maiquetía, come pure del funzionamento della rete telefonica e di Internet.
TALMENTE GRAVE, IL DANNO, che il governo Maduro ha deciso di sospendere per l’8 marzo le attività scolastiche e lavorative per facilitare il ripristino del servizio elettrico.
Quanto alla natura del black-out, il governo non ha avuto dubbi, denunciando un’azione di sabotaggio alla centrale idroelettrica di Guri, nello stato di Bolívar, una delle più grandi dell’America Latina. E proprio di una «guerra elettrica» diretta «dall’imperialismo Usa» ha parlato Maduro, convinto comunque che «niente e nessuno potrà sconfiggere il popolo di Bolívar e di Chávez». Mentre la vicepresidente Dalcy Rodríguez ha puntato il dito direttamente contro il senatore Marco Rubio, il quale, appena qualche minuto dopo l’attacco, già trasmetteva notizie sul black-out.
E SE IL SENATORE HA RISPOSTO con ironia – «Devo aver premuto qualcosa di sbagliato sulla app “attacco elettrico” scaricata su Apple» – Mike Pompeo ha reagito alle accuse riconducendo all’«incompetenza del regime» l’interruzione di energia elettrica e «la devastazione di cui soffrono ogni giorno i venezuelani». E ha aggiunto: «Niente cibo, niente medicine. Ora niente elettricità. Il prossimo passo, niente Maduro».
Né poteva mancare il commento dell’autoproclamatosi presidente Juan Guaidó: «È chiaro che la luce arriverà con la fine dell’usurpazione», ha scritto su Twitter, invitando tutti a scendere in piazza per oggi, contemporaneamente alla manifestazione in difesa della pace e della sovranità del paese convocata da Maduro in occasione del quarto anniversario del decreto esecutivo di Obama contro il Venezuela.
CHE SI TRATTI O MENO di sabotaggio, sono in molti a pensare che l’offensiva contro il Venezuela sia entrata in una nuova fase, in cui gli Stati uniti non risparmieranno prevedibilmente alcuno sforzo – sul terreno, almeno per ora, diplomatico ed economico – per spingere Maduro contro le corde.
Che sentano di aver perso terreno sembra abbastanza ovvio, tanto più dinanzi alle critiche che affiorano qua e là in patria nei confronti della strategia fallimentare finora seguita. Ed è difficile non cogliere un certo nervosismo nel rimprovero mosso dal portavoce del Dipartimento di stato Usa Robert Palladino ai mass media, colpevoli di non riferirsi a Juan Guaidó «in modo corretto», cioè esclusivamente come presidente ad interim. Perché, ha spiegato, indicarlo come leader dell’opposizione o come presidente autoproclamato significa legittimare «la narrativa della dittatura», contro, è chiaro, la verità ufficiale di Washington. Con buona pace della libertà di espressione di cui si fa così vanto la democrazia statunitense.
GLI STATI UNITI, tuttavia, non avrebbero nascosto neppure la loro irritazione nei confronti di Guaidó, che, stando alle rivelazioni recentemente diffuse dal sito argentino La Politica Online[1], sarebbe stato rimproverato, durante il vertice del Gruppo di Lima a Bogotà del 25 febbraio, per la sua errata previsione sulla diserzione in massa delle forze armate, come pure sulla perdita di consensi – in realtà molto più contenuta di quanto auspicato – da parte del governo Maduro.
Non ci sono dubbi, del resto, che per gli Usa Guaidó sia del tutto sacrificabile: se Washington sperava che venisse arrestato al suo rientro nel paese – il pretesto ideale per alzare il livello della tensione – c’è chi teme addirittura per l’incolumità del leader dell’opposizione, che gli Stati uniti, in cerca di un perfetto casus belli, potrebbero – si dice – decidersi ad eliminare per considerarlo più utile da morto che da vivo.
È IN QUESTO QUADRO che, dall’11 al 22 marzo, si svolgerà la «missione tecnica preliminare» inviata in Venezuela dall’Alto commissariato Onu per i diritti umani, allo scopo di preparare un’eventuale visita dell’alta commissaria Michelle Bachelet, già ufficialmente invitata dal governo Maduro nel novembre scorso.
Obiettivo della missione, quello «di ottenere una visione nitida della situazione dei diritti umani nel paese».
* Fonte: Claudia Fanti, IL MANIFESTO[2]
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