Un’onda verde manifesta a Roma su clima e grandi opere inutili

Un’onda verde manifesta a Roma su clima e grandi opere inutili

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Una piazza di difficile connotazione quella di ieri a Roma e che non si vedeva nella capitale da molto tempo. Decine di migliaia di persone di tutte le età e di tutte le parti del paese hanno sfilato da Piazza della Repubblica a Piazza San Giovanni in una babele colorata dove assieme agli striscioni delle realtà organizzate c’erano anche tanti altri, e cartelli con scritte diverse, ironiche e simboli nuovi.

Ad essere protagonisti soprattutto i tantissimi comitati e movimenti che da tempo danno battaglia per la difesa dei loro territori che in questa manifestazione hanno investito in presenza e contenuti , difficile vederli in così tanti e tutti insieme.

Non una manifestazione solo No Tav quindi, che in virtù dei loro 25 anni di lotta urlano dal camion «siamo ancora qui», ma una varietà e quantità di realtà che rende l’idea di come il Paese sia disseminato di problematiche ambientali e di come anche le piccole e medie opere, non solo le grandi, possono avere un impatto devastante. Come la costruzione della Pedemontana in Veneto, terra già tartassata da consumo di suolo e casi di inquinamento come Pfas e pesticidi, e dove attorno a questa nuova linea di asfalto si moltiplicano corruzioni, speculazioni e crimini ambientali come l’interramento illecito di rifiuti.

Alcune vertenze come il tema Grandi Navi o gli abitanti della Riviera del Brenta colpiti negli ultimi due anni da un tornado e due alluvioni sono arrivate fino a Roma anche in bicicletta per sensibilizzare i territori attraversati in giorni e giorni di pedalate, incontrare gli altri comitati e parlare non solo delle vertenze territoriali ma anche «della grande sfida contro i cambiamenti climatici» racconta uno dei 10 ciclisti che hanno fatto tutto il tragitto per intero.

Fra le bandiere più numerose, oltre naturalmente a quelle No Tav, quelle No Triv, contro le politiche di estrazione e utilizzo degli idrocarburi, che in posti come la Basilicata sta portando a una nuova ed ennesima emergenza. Una problematica quella No Triv che attraversa più regioni, arrivando anche in Lombardi dove dopo aver estratto metano per anni, ora «gli ex giacimenti vengono utilizzati per lo stoccaggio anche in sovrapressione, provocando sismi che mettono a rischio due milioni di persone», denunciano al corteo.
C’è tanto Sud in questa Italia ferita: quello di “Stop biocidio» è uno degli striscioni più grandi, a significare l’entità e la durata di una tragedia, quella della terra dei fuochi, evidente con le sue morti e le sue malattie, e che non riguarda solo la Campania. La Puglia porta i No Tap, Taranto, Brindisi e sono fra i più animati a denunciare quello che per la loro terra è un martirio senza fine.

E poi i No Muos , il Forum per l’acqua, Bagnoli, Il Trentino, la Sardegna… nominarli tutti è impossibile, e a vederli cosi , tutti insieme, ci si rende conto che l’unica , o almeno la prima grande opera di cui l’Italia ha bisogno, è il suo risanamento. «Non c’è giustizia climatica senza fermare le grandi opere» scandiscono dalla testa del corteo, e i giovani che la settimana scorsa hanno inondato le strade di tutta Italia rispondendo all’appello del Friday for Future «Non c’è più tempo» , lo hanno capito e in piazza ci sono ritornati per gridare « Siamo ancora in tempo», lo slogan che ondeggiava sull’enorme telo verde che si dispiegava poco dopo lo striscione di apertura.

Studenti delle scuole e delle Università, con numeri inferiori ma presenti e anche in forme nuove, alternative ai classici collettivi studenteschi, come gli« Studenti per la terra», un ‘organizzazione trasversale ai tre atenei di romani, La Sapienza, Tor Vergata e Roma tre, nata in direzione del 15 marzo , che chiama le Università a fare la loro parte con un impegno più specifico fatto di progetti di ricerca mirati e misure concrete anche all’interno delle strutture universitarie stesse per diminuire lo spreco, consumare in forma alternativa, sensibilizzare gli studenti: per contribuire come gli compete a una riconversione ecologica anche delle menti.

«Manifestare il nostro sdegno contro le grandi opere è il minimo» dice Cristina , una studentessa campana di 21 anni. «Non possiamo percepire necessari questi enormi investimenti di capitali quando al Sud per spostarci dobbiamo prendere tre treni, quando intere fette di popolazione in questo paese sono condannate all’isolamento e alla marginalità». Forte anche la presenta dei centri Sociali, anche loro da tutta Italia, non isolati ma connessi con le vertenze, a testimonianza del fatto che non da ora ma da prima le realtà antagoniste sono impegnate sul tema della difesa dei territori dallo sfruttamento e dal degrado provocate da un modello di sviluppo non più sostenibile.

Il messaggio che dietro le grandi opere e i cambiamenti climatici c’è lo stesso problema è partito soprattutto da loro e ieri questa partita l’hanno vinta , con una manifestazione inclusiva che ha puntato il dito contro i responsabili del disastro ma che ha anche voluto indicare le possibili vie di uscita. « Questa manifestazione non è l’inizio , non è la fine» dice un attivista «ma solo la tappa di un percorso».+

* Fonte: Serena Tarabini, IL MANIFESTO



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