Sgombero-spot con ruspe e militari dei braccianti-migranti di San Ferdinando
San Ferdinando (Rc). Il circo Barnum della propaganda salviniana era pronto da giorni. Alla fine il gran giorno dello sgombero della baraccopoli di San Ferdinando (in contemporanea con l’avvio del cosiddetto «reddito di cittadinanza», un caso?) è arrivato ieri di buon ora. Anticipato dall’immancabile nota del Viminale con cui si chiariva che «circa 600 uomini sono stati messi in campo, tra forze dell’ordine, vigili del fuoco e servizi sanitari. Sono stati attivati 18 pullman per trasferire in strutture di accoglienza 900 persone. Sul posto ci sono 4 mezzi del genio militare, oltre a operatori della protezione civile e della Caritas». Immediato pure il commento euforico del ministro degli Interni: «Come promesso, dopo anni di chiacchiere degli altri, noi passiamo dalle parole ai fatti».
Ma la realtà supera di gran lunga la propaganda elettorale permanente del capo leghista. Perché lo sgombero mediatico già fra pochi giorni non avrà prodotto soluzioni né credibili né stabili. È solo servito a rinfocolare il mainstream della narrazione xenofoba con centinaia di agenti, ruspe, vigili del fuoco, decine e decine di operatori, fotografi e giornalisti. Ma nonostante la prova muscolare, le procedure di sgombero si sono svolte nella massima tranquillità, senza problemi di ordine pubblico. Una volta terminata la fase del trasferimento ha preso il via quella dell’abbattimento delle baracche.
I migranti che ancora ci vivevano hanno lasciato il campo con i loro beni, diretti ai pullman per essere trasferiti nei Cas e Sprar della Calabria. Un centinaio di migranti che ha assistito alla demolizione della favela ha, invece, rifiutato sia il trasferimento nella tendopoli gestita dal Comune a poche centinaia di metri, sia il trasferimento nei centri della Regione: pretendono prima le paghe arretrate e chissà se mai le vedranno. Tuttavia già tra qualche giorno ogni cosa sarà dimenticata, le baracche potrebbero tornare a sorgere sui resti della vecchia tendopoli o nei dintorni. Mentre i braccianti riprenderanno la loro battaglia quotidiana nell’indifferenza generale, una volta che il circo salviniano si sarà trasferito altrove.
Ad assistere a questo triste spettacolo pochi attivisti e sindacalisti, tenuti a debita distanza dalla “zona ruspa”. «Degli oltre 1600 abitanti che fino a qualche giorno fa vivevano nell’area sono rimasti in pochi secondo le nostre stime non sono più di trecento – dice Peppe Marra di Usb – La maggioranza ha approfittato della notte per disperdersi nelle campagne della Piana. Chi è rimasto non ha intenzione di accettare di entrare nelle tende che la prefettura ha messo in piedi dall’altra parte della strada o di andare nei Cas.
Anzi, molti che erano stati trasferiti nelle scorse settimane sono già tornati. Si organizzeranno autonomamente, con il risultato di creare mille nuovi micro insediamenti». In effetti, a San Ferdinando le uniche soluzioni abitative proposte sono state poche tende o il trasferimento in Sprar e Cas lontani centinaia di chilometri dalle terre di lavoro. E non è stato posto un argine allo sfruttamento dei lavoratori, molti dei quali non se ne vogliono andare perché attendono ancora di esser pagati per una stagione di raccolta passata a spaccarsi la schiena nelle campagne.
È stata, dunque, l’ennesima operazione emergenziale a danno di persone deportate in strutture d’accoglienza come se fossero profughi e non lavoratori. «I braccianti hanno rifiutato di andare nella nuova tendopoli controllata come un carcere perché rifiutano l’assistenzialismo peloso delle istituzioni, rivendicando il loro status di lavoratori – afferma Filippo Sestito dell’Arci – Di questo dovrebbe occuparsi la sinistra oggi e stare accanto a questi raccoglitori. Ora più che mai avremmo bisogno di una sinistra unita che sia in grado di sconfiggere l’odio, il rancore e la xenofobia, per rimettere al centro la dignità delle persone. La democrazia».
* Fonte: IL MANIFESTO
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