People in piazza a Milano, capitale dell’accoglienza: oltre 250mila
by Roberto Maggioni * | 3 Marzo 2019 8:39
MILANO. Alla fine la partecipazione è stata straordinaria, una marea umana che ha portato gli organizzatori a dire «siamo oltre 250mila persone». Quando la testa del corteo entrava in piazza Duomo la coda era ancora ferma in porta Venezia. Il percorso era quello classico del 25 Aprile milanese e anche la composizione lo ricordava, con tutte le sigle della sinistra e dell’associazionismo e quelle migliaia di volti che ogni anno nel giorno dell’anniversario della Liberazione si sentono parte di una storia comune. Ieri quella storia ha sfilato richiamata da uno slogan semplice e profondo: «Prima le persone». Parole lontane da quel “prima gli italiani” che fa gonfiare i consensi del ministro dell’interno Salvini.
LA PRIMA COSA che ha sorpreso tutti ieri è stato il dato numerico, la quantità di persone in cammino. C’erano i volontari delle associazioni, gli attivisti antirazzisti, i militanti dei partiti, i sindacalisti delle più varie categorie, il mondo della scuola, qualche sindaco con la fascia tricolore, le comunità straniere e migliaia di semplici cittadini. Lo spezzone del Pd era aperto da due dei tre candidati alle primarie, Zingaretti e Martina, ma non c’erano bandiere del partito per timore di contestazioni. È stato il governo Gentiloni con il ministro dell’interno Minniti ha stringere gli accordi che bloccano migliaia di migranti nei lager libici e in tanti, riuniti nella rete No Cpr, lo hanno ricordato anche ieri.
«MA QUANTI SIAMO?» è stata tra le frasi più pronunciate. Che qualcuno accompagnava a «perché siamo così in tanti?». La sensazione, parlando con chi era in corteo, è che fossero lì per prendere parte e schierasi in modo netto. «Vedersi in tanti ha fatto un certo effetto e ha sorpreso». Ma c’è stato un altro momento che ha sorpreso molte delle persone che hanno sfilato: l’entrata in piazza Duomo dove ad accoglierle non c’erano né palchi né comizi politici. «Perché non c’è nessuno che parla a tutta questa gente?» si sono chiesti in tanti. «Se non lo fai in queste occasioni e in questo periodo, quando lo fai?». Le risposte possono essere diverse, a partire dalla volontà degli organizzatori di lasciare la giornata nelle mani delle persone, senza cappelli politici sopra. La verità è che non esiste ancora una proposta politica in grado di fare sintesi e prendere il testimone di questa umanità varia che ciclicamente si mobilità per i diritti civili, l’antirazzismo e la solidarietà. Non c’è alcuna figura – politica o civile – con la credibilità per trasformare una giornata come questa in azione politica.«Qualcuno arriverà» diceva con fiducia una ragazza dietro al camion più rumoroso del corteo, quello da cui Tommy Kuti e altri giovani rapper come lui si sono alternati al microfono in una sorta di freestyle di tre ore. Qualcun altro più grandicello questa figura di sintesi la vede nel sindaco di Milano Giuseppe Sala che ieri ha parlato di una giornata «spartiacque per la società». La domanda che tutti si fanno però è «cosa accadrà da domani? Come e dove convogliare queste energie». «Non lasciate la politica solo ai politici» ha detto Sala «da Milano può ripartire un’idea diversa dell’Italia» e torna come un mantra il mito dell’anomalia Milano, già sentito il 20 maggio 2017 quando in 100mila sfilarono dietro alla sigla “Insieme Senza Muri” per una città aperta, inclusiva e accogliente. Fu un corteo coraggioso ma non in sintonia con il resto del Paese che stava invece andando verso la chiusura incarnata da Lega e 5 Stelle.
ORA LA STORIA si ripete ma con il doppio delle persone scese in piazza due anni fa. «Ci avevano detto che era una follia, un azzardo, il solito rito. Sbagliavano», ha commentato soddisfatto l’assessore alle politiche sociali del comune di Milano Pierfrancesco Majorino, tra i promotori della marcia. Mischiata tra la folla c’era anche una rappresentanza della giunta dell’ex sindaco di Riace Domenico Lucano che ha sperimentato sulla propria pelle cosa significa avere contro il governo in un clima incattivito. «Siamo qui per continuare a testimoniare un altro modo di fare politica che mette al centro le persone e i loro bisogni».Dietro ad una barca a pedali dell’associazione Mediterranea c’erano anche alcune delle Ong che fanno salvataggi in mare. «Prima le persone credo sia evocativo di quello che dovrebbe essere il senso della politica: protezione delle persone non del potere» ci dice la portavoce italiana della Ong Sea Watch Giorgia Linardi. «A noi Ong ci dicono spesso che stiamo facendo politica, perché manca un’opposizione forte in questo paese e siamo diventati un simbolo. Ma se lo siamo, possiamo essere un simbolo di resistenza e responsabilità, non altro. Speriamo che la sinistra possa riorganizzarsi e ritornare se stessa, anche perché ha grosse responsabilità rispetto alla situazione in cui ci troviamo».* Fonte: Roberto Maggioni, IL MANIFESTO[1]