Climate change. L’Italia in coda all’Europa
Oggi saremo in tanti in piazza per chiedere di cambiare le politiche sul clima e siamo tutti contenti di questa nuova mobilitazione determinata e giovane. Ma bisogna evitare di prenderli e prenderci in giro.
Continua infatti ad esserci una sconnessione preoccupante fra la gravità della situazione e il ritmo in cui procede la messa in atto di leggi, investimenti, misure, peraltro conosciuti e fattibili, per assicurarne il controllo e la mitigazione. È così a tutti i livelli.
In Europa si litiga furiosamente, con la complicità degli eurodeputati del Pd e del governo giallo-nero, per mantenere incentivi a gas e carbone che la Commissione voleva escludere nel nuovo piano 2020/2027 di investimenti europei (InvestEU o Piano Juncker 2).
Siamo ancora lontani dall’obiettivo di presentarci uniti sulla posizione di zero emissioni nette entro il 2050 al Summit Onu sul clima di settembre e ai negoziati sul clima di fine anno; giusto per inciso, anche in questo caso il nostro paese sta dalla parte di chi frena. In Italia, le emissioni hanno ripreso a crescere, si parla di aprire centinaia di cantieri senza fare alcuna valutazione non solo sulla loro effettiva utilità, ma anche sulla loro coerenza rispetto alla riduzione delle emissioni; oltre a innumerevoli autostrade, ci sono pure le trivelle e nuovi gasdotti, nonostante l’Agenzia sull’Energia dica che per riportare alla ragione il clima impazzito sia necessario lasciare sotto terra l’80% dei fossili; inoltre siamo ancora in una situazione nella quale il decreto per le rinnovabili, che dovrebbe incentivare le fonti non fossili, è in ritardo di due anni, il settore è fermo mentre in tutta Europa avanza e dal 2014 si è persa la metà dei 120.000 posti di lavoro creati negli anni del boom. Sull’efficienza energetica si fa poco o nulla a parte gli sconti fiscali incerti, nonostante l’Ue abbia detto che aumentandola di un punto in Europa si potrebbero creare 366.000 posti di lavoro e ridurre del 4% le importazioni di gas. E poi: dal 2011 abbiamo pagato 589 milioni di euro alla Ue per infrazioni riguardanti per lo più rifiuti, altro che i 300 milioni della Tav (comunque già persi).
L’Italia è il paese con il maggior problema di dissesto idrogeologico d’Europa: su 700.000 frane se ne contano qui ben 500.000, fenomeno che come è ovvio è destinato a peggiorare. Si potrebbe continuare. Ma il punto fondamentale, che la stessa Greta Thunberg evidenzia, è che non sono i ragazzi a dover dire cosa fare nei dettagli o ad approvare leggi; non c’è tempo per aspettare che crescano e non c’è tempo neppure per blandirli o riempirli di onori (ottima la candidatura al Nobel per Greta), per poi continuare a fare tranquillamente tutto come prima, dai tunnel superflui, alle autostrade e ai gasdotti, alle discariche e inceneritori.
Anzi, io sono preoccupata che tutto questo consenso intorno a loro, come se prima non ci fosse stato nulla o quasi, possa anche servire a silenziare le gravi e sgradevoli verità intorno alle misure concrete che non si intraprendono per interessi economici e ideologici.
Sono convinta che i ragazzi e le ragazze del venerdì non si faranno fregare. E spero che ci potrà essere una reale collaborazione anche in Italia, come già succede in Europa, fra tutti i combattenti e le combattenti per il clima, in politica, nelle associazioni, tra la gente. Un momento importante di questa battaglia saranno le elezioni europee, dove speriamo siano premiate le forze che sul clima e sull’ambiente non sono mai scese a compromessi.
* Fonte: Monica Frassoni, IL MANIFESTO
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