by Claudia Fanti * | 10 Febbraio 2019 11:09
Sordo agli appelli al dialogo provenienti da ogni parte, il presidente fantoccio Juan Guaidó va avanti senza esitazioni per la strada indicatagli dall’amministrazione Trump. Ed esattamente come il presidente Usa, che aveva definito il ricorso alle armi «un’opzione», anche il leader di estrema destra non ha voluto escludere la possibilità di una guerra. Interrogato sulla sua disponibilità ad autorizzare un intervento militare, Guaidò alla Afp ha risposto: «Noi faremo tutto il possibile. È ovviamente un tema molto polemico, ma facendo uso della nostra sovranità, nell’esercizio delle nostre competenze, faremo il necessario».
Già precedentemente l’autoproclamato presidente ad interim aveva voluto mostrare i muscoli: «Il 90% dei venezuelani non teme una guerra civile perché vuole un cambiamento». E ciò malgrado un sondaggio dell’istituto Hinterlaces indicasse tutto il contrario: l’86% della popolazione si oppone a un intervento militare e l’84% è a favore del dialogo tra governo e opposizione.
A prendere molto sul serio la minaccia di una guerra è sicuramente la diplomazia russa. In conferenza stampa, la portavoce del ministero degli Esteri russo Maria Zakharova ha definito «ovvia» la conclusione che «Washington ha deciso di ricorrere alla forza» e che «tutto il resto non è altro che un’operazione di copertura».
Già il 30 gennaio l’analista militare Dylan Malyasov informava su Facebook che l’esercito statunitense aveva cominciato a predisporsi per la guerra. Il Venezuela, scriveva, «ha 90 giorni di tempo. È stato emesso un ordine relativo alla preparazione di un attacco aereo contro i principali centri militari e politici del paese, le basi di difesa aerea e le forze navali», combinato con un «dispiegamento di truppe terrestri in Colombia».
Tuttavia, secondo, quanto scrive sull’agenzia russa Sputnik l’antropologo venezuelano José Negrón Valera, esperto di guerra non convenzionale, controterrorismo e intelligence, le cose non sarebbero così semplici. L’esercito parallelo che gli Stati uniti stanno organizzando in Colombia, costituito per lo più da paramilitari e bande criminali legate al narcotraffico, sarebbe del tutto inadeguato a contrastare una forza armata come quella bolivariana (Fanb), con i suoi circa 250mila militari e gli avanzati armamenti russi a sua disposizione, a cominciare dagli aerei da combattimento Su-30MK2.
Senza contare l’incorporazione nella Fanb di più di due milioni di miliziani, nell’ottica della dottrina militare venezuelana di difesa integrale del territorio, quella della «guerra di tutto il popolo».
È per questo che la priorità degli Usa, secondo l’esperto militare russo Yuri Liamin, è minare la compattezza delle forze armate bolivariane, finora con scarsi risultati. Nell’attesa, Juan Guaidó si è rivolto di nuovo alla piazza, convocando manifestazioni per oggi e martedì, allo scopo di esigere la fine definitiva dell’«usurpazione» di Maduro. «Continueremo fino a raggiungere il nostro obiettivo», ha detto, ribadendo il suo impegno a «far arrivare l’aiuto umanitario».
Benché sia chiaro che non è questa la via per rovesciate Maduro, la presenza di gente per le strade si rivela comunque utile sul piano mediatico, specialmente di fronte al sistematico oscuramento da parte della grande stampa delle mobilitazioni del popolo chavista, impegnato in questi giorni in una grande raccolta di firme contro un possibile intervento militare statunitense.
* Fonte: Claudia Fanti, IL MANIFESTO[1]
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