Salvini in carcere a Piacenza. Solidarizza con l’imprenditore condannato per tentato omicidio

by Andrea Fabozzi * | 24 Febbraio 2019 9:16

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Il ministro dell’interno entra nella casa circondariale di Piacenza per andare a trovare Angelo Peveri, l’imprenditore condannato a quattro anni e mezzo per tentato omicidio. Ed esce dalla realtà: «Ho trovato una persona per bene, non è giusto che sia in galera chi si è difeso dopo cento furti e rapine e sia a spasso il rapinatore in attesa del risarcimento danni», dice a conclusione della visita. L’auto difesa, secondo tre gradi di giudizio convergenti, con il caso Peveri non c’entra niente. Durante i processi – rito abbreviato in primo grado – non è stata nemmeno avanzata dall’avvocato.

Per la sentenza di appello «entrambi gli imputati (con Peveri è stato condannato anche un suo dipendente, ndr) hanno agito con il preordinato proposito non già di bloccare i ladri, ma di dar loro una lezione».

La corte di Cassazione ha confermato la condanna la settimana scorsa, Peveri è entrato in carcere cinque giorni fa. Il ministro dell’interno, l’autorità nazionale di pubblica sicurezza che su twitter condanna qualunque straniero un minuto dopo il fermo di polizia, pensa che «Peveri in galera non doveva nemmeno entrarci, cercheremo di fare di tutto perché ci stia il meno possibile».

«Di tutto» significa anche chiedere la grazia a Mattarella. «L’ho già fatto per Monella, non ho problemi a tornare dal presidente della Repubblica ma prima voglio parlare con l’avvocato per capire come intende muoversi». Avvocato d’ufficio. Quattro anni fa, quando Monella diventò un eroe per la Lega come Peveri oggi, Salvini non era il ministro dell’interno. E adesso non è il ministro della giustizia al quale compete proporre la grazia. A Monella, condannato per omicidio volontario per aver colpito a fucilate dal balcone di casa un ladro che gli stava rubando l’auto, nel 2015 fu concessa una grazia parziale dopo un anno di detenzione in modo da fargli scontare il residuo della pena fuori dal carcere. Peveri è un caso diverso. Ed è un caso che non c’entra con la legittima difesa, la legge bandiera della Lega arrivata alle battute finali alla camera (ma dovrà tornare al senato per un eccesso di zelo del primo relatore leghista).

Secondo i giudici di appello, Peveri sparò al ladro che – alcune ore prima – aveva tentato di rubare il gasolio da un mezzo meccanico quando un suo dipendente lo aveva già immobilizzato. «La vittima – si legge nella sentenza – palesemente non armata, dopo essere stata bloccata a terra, è stata ripetutamente percossa, anche con un corpo contundente, nonostante le insistenti e supplichevoli manifestazioni di pentimento, ed è stata colpita da distanza ravvicinata con un fucile caricato con proiettili ad elevata capacità offensiva al torace».

Quanto al rapinatore «a spasso», Dorel Jucan, ha ammesso le sue responsabilità e patteggiato una condanna a 10 mesi. Ed è rimasto invalido al 55%. «Salvini incita a usare le armi in modo illecito», ha denunciato la sezione emiliana di Area, la corrente di sinistra dei magistrati. Il ministro ha risposto al solito modo: «Mi lascino fare il mio lavoro». La propaganda.

* Fonte: Andrea Fabozzi, IL MANIFESTO[1]

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