by Andrea Fumagalli * | 9 Gennaio 2019 9:53
E la montagna partorì il topolino. Questo è il commento a caldo più consono alla lettura della bozza del decreto legge che il governo dovrebbe approvare per rendere attuativa l’introduzione del «reddito di cittadinanza» (RdC).
Si tratta comunque di un provvedimento che è meglio del nulla o del pochissimo (vedi il «reddito di inclusione», «Rei») fin qui fatto dai governi precedenti in materia di contrasto alla povertà assoluta. Perché di questo si tratta: di un provvedimento, che per la sua limitatezza e i vincoli imposti non va a incidere in modo significativo sulla distribuzione del reddito, né a invertire la sua polarizzazione, né a garantire la libertà scelta del lavoro in contrasto alla ricatto della precarietà. Incide piuttosto sulla limitazione del disagio sociale connesso alle situazioni di povertà estrema.
SECONDO I DATI forniti dallo stesso governo, la platea dei beneficiari del RdC dovrebbe essere di 1.437.000 famiglie e di 4.340.000 individui (numero inferiore, seppur di poco, ai poveri assoluti, ma pari a meno del 50% dei poveri relativi). Per il 2019, la cifra messa a disposizione ammonta a 6,11 miliardi di euro, per poi salire a 7,77 nel 2020 e a 8,02 nel 2021 (art. 12). Se questi dati vengono confermati, l’obiettivo dichiarato di portare tutto coloro che hanno un reddito inferiore alla soglia di 780 euro mensili appare difficilmente raggiungibile. Facendo infatti dei semplici calcoli matematici, la cifra media che spetta mensilmente a livello familiare sarebbe di 472 euro e, a livello individuale, di 156 euro al mese.
OCCORRE tuttavia tenere presente che il provvedimento ha come obiettivo l’integrazione ai 780 euro mensili del reddito già disponibile e che quindi non tutti riceveranno l’intera somma – come invece vogliono far credere i detrattori e i media. Più concretamente, gli importi su base annua sono composti di due elementi: un’integrazione del reddito familiare di seimila euro e una componente a integrazione del reddito per coloro che abitano in affitto fino ad un massimo di 3360 euro (art. 3). Di fatto, la soglia massima di reddito percepibile per chi è proprietario di casa non è più di 780 euro al mese, ma di 500 euro.
Il RdC potrà essere chiesto, oltre che dai cittadini italiani, anche dagli extracomunitari purché siano residenti in via continuativa in Italia da almeno 10 anni. Si stima che le famiglie composte da soli stranieri in tale condizione siano 259.000 (18% delle famiglie beneficiarie, quando i poveri stranieri sono il 35% del totale dei poveri, il doppio). L’erogazione è condizionata alla dichiarazione di immediata disponibilità al lavoro da parte dei componenti del nucleo familiare maggiorenni. Oltre a ciò, il disoccupato dovrà aderire a un percorso personalizzato etero-diretto finalizzato all’inserimento lavorativo e all’inclusione sociale: frequentare i corsi di formazione, sostenere test psico-attitudinali e prove finalizzate all’assunzione e, infine, accettare almeno una di tre offerte di lavoro congrue.
I CRITERI per definire «congrua» un’offerta di lavoro sono comunque peggiorativi rispetto a quelli definiti dalla legge di petizione popolare (tramutata nel disegno di legge 1670 del 2014): una remunerazione, come minimo, pari a quella precedentemente percepita dal soggetto interessato, il mantenimento della professionalità acquisita, e una sede di lavoro che non sia più distante di 50 km (80 minuti di tempo di trasporto) dal luogo di residenza. Quest’ ultimo criterio viene disatteso per coloro che vivono in famiglie con disabilità, per i quali la mobilità viene estesa tutto il territorio nazionale (esternalizzazione dei lavoratori?). Ne consegue, che il soggetto beneficiario è indirettamente obbligato, pena la perdita del sussidio, ad accettare di fatto qualunque offerta viene proposta. E, tenendo conto, che la maggior parte dei poveri (53%) sono situati nelle regioni meridionali, e che la maggioranza dei posti di lavoro si trovano invece nelle regioni settentrionali, è facile immaginare lo sviluppo di nuovi flussi migratori, finanziati dallo Stato a vantaggio delle imprese del Nord.
ED È PROPRIO sul capitolo «aiuti alle imprese» che il RdC mostra la sua vera natura social-liberista. È un indiretto strumento di politica dell’offerta, finalizzata a incentivare assunzioni sotto-qualificate a costi ridotti per le imprese. I datori di lavoro che assumono un lavoratore e non lo licenziano nei primi 24 mesi (tranne che per giusta causa e giustificato motivo!) potranno, infatti, ricevere sotto forma di sgravio contributivo, un contributo comunque non inferiore a cinque mensilità. Si tratta di una norma assai simile agli incentivi stabiliti dal Jobs Act.
INFINE, il reddito viene erogato a livello familiare (non individuale!) attraverso un apposita carta RdC. Si potrà monitorare il tipo di acquisti fatto e in tal modo eventualmente intervenire se la spesa viene ritenuta non consona allo «stato di povertà». Il provvedimento si presenta così in linea con le premesse: una misura di controllo sociale, sostanzialmente di inserimento coattivo al lavoro, fortemente selettivo e non per tutti coloro che si trovano in povertà relativa, la vera misura della povertà. Ma neanche per tutti coloro che si trovano in povertà assoluta, in particolare per i migranti poveri, che non hanno una continuità di residenza in Italia da 10 anni e sono la maggioranza.
* Fonte: Andrea Fumagalli, IL MANIFESTO[1]
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