Nuova retromarcia dei Cinque Stelle: il sussidio di povertà, detto impropriamente «reddito di cittadinanza», non dev’essere dato agli stranieri, ma solo ai poveri assoluti italiani. Lo ha assicurato il vicepremier pentastellato Di Maio, dopo un intenso bombardamento di dichiarazioni degli alleati occulti del suo partner di governo, il dioscuro leghista Salvini, al governo con Forza Italia in tutte le regioni del Nord. Nella gara a chi è più razzista, alla fine le alleanze variabili della Lega sono riuscite ad accerchiare Di Maio spingendolo a sconfessare in 48 ore una delle tante bozze del decreto che il governo dovrebbe approvare forse entro la prossima settimana: «Non stiamo parlando dei 5 anni che ci sono nella bozza che va cambiata – ha detto pendolo Di Maio – L’obiettivo è darlo agli italiani». Prima gli italiani: la stella polare del nazional-populismo orienta anche i Cinque Stelle nelle ore in cui Salvini morde le caviglie dei sindaci che si oppongono al suo disumano «Dl sicurezza» contro i rifugiati.
IL SUSSIDIO SARÀ RICONOSCIUTO solo agli stranieri residenti in Italia da 10 anni «che equivalgono a quelli necessari per ottenere la cittadinanza». Si vuole fare valere il principio già adottato dal cosiddetto «reddito di autonomia» vigente in Lombardia che lega la misura per gli stranieri agli anni di residenza. Solo che in questa regione sono previsti cinque anni. A livello nazionale si vuole strafare.
A DARE MAN FORTE al cedevole Di Maio è arrivata la manina di Palazzo Chigi che, attraverso le sue note «fonti», ha confermato il singolare principio dei «lungo soggiornanti che hanno dato un grande contributo». Così si è espresso il dioscuro di Pomigliano confondendo, forse, queste persone con i senatori a vita o i cavalieri del lavoro riconosciuti tali dalla presidenza della Repubblica. Dalle parti di Giuseppe Conte, ordinario di diritto e promotore di riviste «info-giuridiche che stanno sul mercato», hanno tradotto l’espressione nel più accorsato criterio della «residenza di oltre 10 anni».
È STATO CHIARITO anche un altro principio che ispira questa versione xenofoba di un sussidio vincolato al lavoro gratuito (8 ore a settimana) e all’obbligo di emigrare fino a 500 km dal luogo di residenza affinché i poveri ottenengano un lavoro precario. Si tratta della fedina penale: dev’essere immacolata, dicono da Palazzo Chigi. Ciò porterebbe «la platea di italiani che percepirebbero il reddito a oltre il 90%». Non c’è dubbio che questi «vincoli per gli stranieri» (così ancora Palazzo Chigi) restringeranno la platea potenziale, in base a un’altra discriminazione. Va augurato ai giuristi che renderanno queste intenzioni coerenti «con l’Ue e la Costituzione», di ricordarsi un principio della nostra legge fondamentale: sempre ammesso che sia stato commesso un reato, una volta espiata l’eventuale pena, il soggetto anche straniero continua ad avere diritti, compreso quello al «reddito». E questo vale anche se risiede da più di 10 anni in Italia.
IL CONFLITTO TRA LEGA e Cinque Stelle su un punto delicatissimo per il nuovo razzismo si è svolto in silenzio negli ultimi giorni e si è concluso (al momento) con un’altra netta vittoria dei salviniani, la seconda dopo quella che ha trasformato lo pseudo-reddito «di cittadinanza» in un incentivo di 5-6 mesi alle imprese che assumono i beneficiari. La Lega chiede di versare 18 mesi di sussidio alle aziende, proprio come fece a suo tempo Renzi con il Jobs Act, contestato dai Cinque Stelle. Non è escluso che arriveranno ad ottenerlo, anche in forme intermedie.
IL PROBLEMA per i Cinque Stelle era emerso già nel settembre scorsoquando Salvini, «contratto di governo» alla mano, aveva dettato le sue condizioni: il «reddito» va solo agli italiani. I dieci anni erano spuntati in quel momento. Poi erano stati ridimensionati a cinque, vicini ai due previsti dal Pd nei criteri del «reddito di inclusione» (ReI) che costituisce l’incubatore della misura Lega-Cinque Stelle.
IL GOVERNO STA SFIDANDO il principio costituzionale già esposto dal presidente emerito della Consulta Cesare Mirabelli secondo il quale «i cittadini comunitari quindi non possono essere discriminati, così come non possono essere discriminati su questa misura le persone che hanno un permesso di lungo soggiorno mentre bisogna capire se il sussidio dovrà essere dato anche agli altri stranieri legittimamente presenti sul territorio».
LIQUIDATO ANCHE IL DIRITTO europeo che stabilisce la parità di trattamento tra soggetti di nascita diversa ma che risiedono sullo stesso territorio nazionale. Nella discriminazione, su base etnica e nazionale, che si sta provando a giustificare va ricordato che tutti i cittadini stranieri e extra-comunitari titolari di un permesso di soggiorno (anche dopo un anno) lavorano. Se non lo facessero, stando alle normative vigenti, non avrebbero il permesso di soggiorno. Questo è il criterio che il governo nazional-populista intende scardinare con il suo sussidio.
* Fonte: Roberto Ciccarelli, IL MANIFESTO