by Anna Maria Merlo * | 9 Gennaio 2019 10:28
Il Rassemblement national si sta già preparando ad eventuali elezioni anticipate
PARIGI. Il prossimo appuntamento, l’Atto IX della protesta dei gilet gialli, per sabato 12 gennaio, si prepara nella confusione. Da un lato il governo ha scelto la linea dura: il primo ministro Edouard Philippe in un’intervista tv ha annunciato che i violenti «non avranno l’ultima parola» e che verrà discussa, ma all’inizio di febbraio, una nuova legge anti-casseur, per reprimere gli atti di violenza durante le manifestazioni. La legge, in realtà, già esiste, è stata votata l’anno scorso al Senato su proposta della destra dei Républicains, senza che quasi nessuno se ne accorgesse (e allora il governo non l’ha sostenuta). Prevede la possibilità di creare un “perimetro di sicurezza” nelle manifestazioni, con controlli più severi (ma non dice nulla sull’applicazione, visto che le manifestazioni sono state spesso spontanee, non dichiarate). Philippe ha evocato anche la schedatura dei violenti, che saranno sottoposti al divieto di manifestare (sul modello dei daspo per gli hooligan del calcio). La destra di governo approva, l’opposizione di sinistra protesta per una scelta che limita il diritto a manifestare, per Clémentine Autain della France Insoumise il governo «getta benzina sul fuoco» e si muove come «un’anatra senza testa». Il Rassemblement national (ex Frante nazionale) si unisce alla protesta contro l’annuncio di un aggravio della repressione ma si prepara soprattutto alla prospettiva di elezioni anticipate, sognando di portare Marine Le Pen a Matignon, nel caso Emmanuel Macron non abbia altra possibilità che sciogliere l’Assemblea nazionale.
Dall’altro lato, i gilet gialli si organizzano per manifestare di nuovo sabato, mentre devono affrontare un’ultima polemica sulla raccolta fondi a favore del pugile Christophe Dettinger, che sabato scorso ha preso a pugni dei poliziotti sul ponte Senghor a Parigi ed ora è in stato di fermo, dopo essersi consegnato alla polizia lunedì. Sul sito Leetchi, sono stati raccolti in poche ore 117mila euro, una cifra enorme che ha suscitato forti reazioni del governo e dei sindacati di polizia. La sottosegretaria Marlène Schiappa sostiene che «chi versa dei soldi è complice» della violenza. Il sottosegretario Mounir Mahjoubi invita «tutti ad essere responsabili» giudicando «indegna» la raccolta di fondi a favore di Dettinger, «apparentemente picchiare un poliziotto fa guadagnare».
Il sito Leetchi ieri ha sospeso la raccolta di fondi, senza rivelare però da dove è venuta l’iniziativa e chi sono i sottoscrittori (i soldi potranno essere utilizzati dal pugile per pagare gli avvocati della difesa, ma non un’eventuale multa). Il sindacato di polizia Unsa-Police parla di «malloppo della vergogna» raccolto per difendere un aggressore della polizia.
Un’altra polemica ha occupato ieri il dibattito pubblico: si tratta dello stipendio (176mila euro l’anno) della senatrice Chantal Jouanno (ex ministra ai tempi di Sarkozy), incaricata di organizzare il grande dibattito nazionale, la proposta di Macron per uscire dalla crisi che una parte consistente dei gilet avrebbe però intenzione di boicottare (il movimento di protesta resta estremamente diviso e diverso, un assaggio si è avuto con le tensioni a Marsiglia, in seguito all’invito di Bernard Tapie, affarista ex ministro ora proprietario della Provence, che ha aperto i locali del giornale a una riunione dei gilet, dalla quale però in molti sono stati esclusi). Il governo, che non riesce a trascinare dalla sua parte una chiara maggioranza dell’opinione pubblica, ieri ha comunicato le cifre della crisi indotta dai vari Atti della protesta in giallo: 59mila lavoratori in cassa integrazione “tecnica” e 4mila aziende in difficoltà.
* Fonte: Anna Maria Merlo, IL MANIFESTO[1]
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