Castelnuovo di Porto. Il Viminale chiude il Centro per migranti e scoppiano le proteste
I primi ventisette migranti del Cara di Castelnuovo di Porto, chiuso ieri per decisione del Viminale, sono stati trasferiti in Campania e Basilicata. Entro il 31 gennaio saranno in tutto 305 quelli che subiranno lo stesso trattamento. Dieci regioni riceveranno gli ospiti del secondo centro più grande di Italia. Otto persone, alle quali la Commissione territoriale ha riconosciuto la protezione umanitaria (e che avevano presentato domanda prima dell’entrata in vigore del decreto sicurezza), troveranno posto in uno Sprar, mentre per il momento circa 30 bambini e 2 donne in possesso di un permesso di soggiorno per motivi umanitari resteranno nella struttura alle porte di Roma.
La chiusura era annunciata da tempo, ma ai richiedenti asilo è stata comunicata solo lunedì pomeriggio: «Mi hanno detto che sarei partito, ma nessuno sapeva dirmi per dove», racconta Abou. Il suo viaggio e quello di altri 29 suoi compagni si è concluso a Calvinazzo, una piccola località in provincia di Napoli dove sono presenti due Cas, i Centri di accoglienza straordinaria.
Auxilium, la cooperativa che gestisce i servizi del Cara di Castelnuovo e il cui contratto scade il prossimo 31 gennaio, con la chiusura perde i finanziamenti che riceveva dal 2014, mentre i 120 dipendenti tra assistenti sociali, medici, psicologi, mediatori culturali e insegnanti, rischiano di perdere il lavoro.
Il trasferimento dei richiedenti asilo è cominciato di buon mattino. In fila, con le proprie cose in mano o portate a spalla, molti migranti si sono allineati alla fermata dell’autobus in attesa di un mezzo che li portasse a Roma. Chi invece era stato inserito nella lista dei primi trasferimenti è stato fatto salire sul pullman. «Hanno voluto sgomberare il centro in modo un po’ misterioso», ha commentato padre Josè Manuel Torres, il parroco di Castelnuovo. «Basti pensare che l’autista dei pullman nemmeno sapeva dove doveva andare. Chiediamo ce non vengano trattati come bestiame». Proteste per la chiusura del centro anche dal sindaco della cittadina e dal Pd, che ha parlato di «deportazione» dei migranti. «Balle spaziali», secondo il ministro degli Interni Salvini, per il quale la chiusura del centro comporterebbe un risparmia di un milione di euro l’anno. «Chi ha diritto all’asilo non perderà nulla semplicemente verrà trasferito in altre strutture. Noi non mettiamo sulla strada nessuno», ha spiegato il leghista.
Nei prossimi giorni il Viminale procederà al trasferimento dei restanti a richiedenti asilo, ma intanto si organizza anche la protesta dei lavoratori. Una nota della Cgil annuncia il presidio del 24 gennaio dei lavoratori della Coop Auxilium, Siar e azienda Itaca che saranno in via Molise, sotto la sede del ministero dello Sviluppo economico con Fp Cgil, Fisascat Cisl e Uil Fpl «per scongiurare la crisi sociale, che, oltre allo sradicamento degli ospiti oramai integrati nel territorio, riguarda anche lavoratori e cittadini», dicono i sindacati.
Il trasferimento rischia di mettere a rischio anche i percorsi di vita avviati da molti dei richiedenti asilo presenti fino a ieri nella struttura. Abou, finito in un Cas della provincia di Napoli, aveva appuntamento per febbraio con la commissione che deve esaminare al sua richiesta di asilo ma ora non sa più se potrà andarci.
Ma c’è soprattutto preoccupazione per la sorte dei migranti, a partire dai molti bambini che adesso dovranno lasciare la scuola per trasferirsi con le famiglie in un’altra regione. «Ci preoccupano molto gli effetti del decreto sicurezza su coloro che non hanno ottenuto lo status di rifugiato e hanno i permessi umanitari in scadenza, dove andranno?», si chiedeva ieri sera il parroco al termine di una marcia organizzata in solidarietà di migranti e lavoratori del centro.
Oggi davanti al Cara si terrà un presidio al quale parteciperà anche il sindaco di Castelnuovo di Porto, Riccardo Travaglini. «Attenderemo l’uscita degli altri migranti, anche con un presidio sanitario», annuncia. «Oggi è stata scritta una brutta pagina».
* Fonte: Roberto Persia, IL MANIFESTO
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