Ambiente, si blocca il parlamento ma non le trivelle

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Ne fa le spese il decreto semplificazioni, bloccato al senato. L’ipotesi di uno stralcio per rinviare il problema

Non bloccano le trivelle, ma i lavori del parlamento sì. Le annunciate correzioni del Movimento 5 Stelle al decreto omnibus, per paradosso battezzato «semplificazioni», (teoricamente) in discussione al senato, non sono accettate dalla Lega. Che non ci sta a mettere la sua firma, e i suoi voti, sullo stop di un anno e mezzo alla ricerca di idrocarburi accompagnato dall’aumento dei canoni di concessione: «Si rischia la tenuta economica delle aziende coinvolte e la perdita di posti di lavoro», è la versione leghista.

Nel pieno di una trattativa estenuante, cominciata quanto il comitato No Triv ha scoperto e denunciato le nuove autorizzazioni (mar Ionio) partite dal ministero di Di Maio e proseguito con il tentativo dei 5 Stelle di metterci una pezza con un emendamento al decreto «semplificazioni», è arrivato l’ultimatum del ministro dell’ambiente, il 5 Stelle Sergio Costa. Che ieri era in campagna elettorale per le regionali dell’Abruzzo, regione parecchio sensibile alle trivellazioni nel mare Adriatico. «Sono per il no alle trivelle, passano per la valutazione di impatto ambientale e io non la firmo. Mi sfiduciano come ministro? Torno a fare il generale dei carabinieri, lo dico con franchezza», ha detto il ministro. Che poi è tornato a pronunciarsi anche contro gli inceneritori, altra punto di scontro con la Lega. La replica da parte dell’alleato di governo è arrivata però sulle trivelle, durissima: «Costa non può fare quello che vuole lui, se il parlamento prende una decisione sul piano politico il ministro non può che prenderne atto», ha detto il sottosegretario leghista all’economia, Massimo Garavaglia.

L’uscita del ministro non è direttamente legata al braccio di ferro sull’emendamento al decreto semplificazioni, perché adesso non si discute di nuove autorizzazioni da firmare, ma di autorizzazioni alla ricerca già concesse eventualmente da fermare. Ma il tema è quello e sia i 5 Stelle che la Lega devono riposizionarsi dopo aver insieme sostenuto il sì al referendum contro le trivelle del 2016. La Lega è più spinta e ha abbracciato in pieno le ragioni delle grandi società di estrazione. In mezzo il senato della Repubblica, dove per il secondo giorno consecutivo è stata rinviata la discussione in aula sulla legge di conversione del decreto. Alla maggioranza è stata necessaria un’altra seduta, notturna, di discussione e nel frattempo si avvicina la scadenza del decreto, fissata al 12 febbraio. Questo vuol duire che ancora una volta all’altro ramo del parlamento saranno lasciati poche giorni per approvare, magari con la fiducia, e tanti saluti alla recente pronuncia della Corte costituzionale che a proposito della legge di bilancio ha raccomandato al overno di non mettere più il parlamento nelle condizioni di prendere o lasciare senza poter esaminare a fondo i provvedimenti.

Ancora una volta sono le divisioni nel governo giallobruno a provocare lo stallo. Le voci fatte circolare in serata di un possibile accordo – la Lega avrebbe ingoiato lo stop alle attività per 18 mesi, i 5 Stelle avrebbe accettato di contenere l’aumento dei canoni di concessione – si sono rivelate ottimiste. Anche la seduta notturna congiunta delle commissioni affari costituzionali e ambiente del senato è stata sconvocata, così come si era rivelata inutile una riunione della conferenza dei capigruppo. Nessuna decisione può essere presa sul proseguimento dei lavori d’aula fino a che leghisti e grillini non scioglieranno i loro nodi. A questo punto si fa largo l’ipotesi di uno stralcio della questione trivelle dal decreto semplificazioni, dove peraltro era entrata in un secondo momento. I problemi nel governo sarebebro però solo rimandati. «La maggioranza è allo sbando, non trovano l’accordo sulle trivelle e a quasto punto c’è il concreto rischio che saltino anche i lavori d’aula di domani (oggi, ndr) dice il capogruppo dei senatori del Pd Marcucci. «Ormai siamo al caos, il senato deve rivendicare la sua autonomia ei confronti di un governo che a dicembre ha schiacciato il parlamento e adesso impedisce il corretto svolgimento delle funzioni delle camere garantite dalla Costituzione», ha detto il senatore di Forza Italia Schifani, ex presidente di palazzo Madama. L’attuale presidente, anche lei forzista, Elisabetta Casellati di fronte all’ennesima richiesta di rinvio arrivata dalla maggioranza si è limitata a rivolgere un «richiamo a una maggiore regolarità dei lavori per il rispetto che si deve all’istituzione senato della repubblica e a tutti i senatori».

* Fonte: Domenico Cirillo, IL MANIFESTO



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