Uno di noi, Una di noi. A Roma in piazza contro mafie, razzismo e povertà

Uno di noi, Una di noi. A Roma in piazza contro mafie, razzismo e povertà

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«Riconoscersi e ribellarsi contro disuguaglianze, mafie e razzismo» diceva lo striscione di testa della manifestazione che ha sfilato ieri per le strade del centro di Roma.

MIGLIAIA DI PERSONE, diecimila secondo gli organizzatori, per un corteo cittadino che da piazza della Repubblica ha impiegato circa tre ore per concludersi sotto l’Altare della patria. Lì all’imbrunire sono risuonate le parole della staffetta partigiana Tina Costa, 93 anni, quasi gridate dal palco, a spiegare in modo semplice il senso e l’unitarietà di una piattaforma che a prima vista potrebbe sembrare eterogenea, passando dal rifiuto del decreto Salvini al No al decreto Pillon, dalla difesa della Casa internazionale delle donne dalle mire della giunta Raggi alla lotta contro il caporalato nei campi intorno a Pomezia, sul litorale, fino alla resistenza agli sgomberi di case e spazi, urbani e suburbani, occupati dai movimenti per il diritto all’abitare, sgomberi promessi dal Campidoglio ma sotto la guida del Viminale. «Noi siamo qui contro l’ingiustizia e contro questo governo, siamo qui per riprenderci i diritti che ci hanno rubato da trent’anni e ora anche la democrazia, che vuol dire servizi sociali, lavoro e libertà come dice la Costituzione, siamo qui contro il risorgere di un nuovo fascismo», ha detto la partigiana invitando tutti i presenti a «prendere le bici e pedalare» perché «possiamo ancora vincere».

MANIFESTAZIONE UNITARIA e combattiva, anche se non bellicosa – infatti non c’è stata la minima tensione nonostante l’ampio schieramento di blindati e forze dell’ordine – che ha mobilitato un fronte ampio di forze sociali: dalla Cgil, presente in piazza con tantissime categorie, all’Arci, alla Rete romana degli studenti medi, a Libera, all’Anpi romano, a tantissimi comitati di quartiere, realtà di base, cooperative sociali, associazioni. Con una massiccia presenza di immigrati, tra cui tantissime donne con bambini in passeggino o in braccio.

«A UN PASSANTE DISTRATTO il nostro può sembrare un blocco sociale informe, in realtà qui sono rappresentate le nuove soggettività, dove si mischiano rivendicazioni anche diverse, tenute insieme dalla consapevolezza che nessuno vince da solo – spiega Giuseppe De Marzo della Rete dei Numeri pari – stiamo costruendo una alleanza ampia che parte dai territori, dal lavoro comune, da iniziative concrete di nuovo mutualismo. È un lavoro duro ma anche le forze politiche devono capire che è l’unico possibile per combattere l’avanzare della destra e siamo ancora all’inizio».

CONTRO LE DISUGUAGLIANZE e contro le mafie, dunque. Perché c’è un nesso che va spiegato, sciolto, tra il decreto-sicurezza di Salvini e l’operato degli ultimi due anni della giunta pentastellata in Campidoglio. «In una città dove ci sono 94 clan e 100 piazze di spaccio le mafie si sostituiscono allo Stato con un welfare criminale – continua De Marzo – interi quartieri sono dominati da una economia mafiosa, la mafia è tanto più forte quanto più ampia è la povertà e la marginalità sociale ma questo non succede per un virus o una meteorite, viene dalla chiusura degli spazi sociali e dei servizi, si nutre delle corresponsabilità istituzionali, nella zona grigia».

L’amministrazione capitolina ha appena presentato il bilancio comunale di previsione e da una analisi fatta dal Cresme per Libera – anticipata a il manifesto – risulta che quasi tutti i capitoli di spesa per servizi sociali, dagli asili agli interventi per il diritto alla casa ai disabili, sono stati pesantemente decurtati per un taglio complessivo di oltre 478 milioni di euro, mentre le varie associazioni ancora attendono una convocazione per discutere fattivamente del nuovo regolamento per l’assegnazione dei beni confiscati alle organizzazioni criminali.

«IL DECRETO-SICUREZZA crea solo più emarginazione e più irregolari che servono da manodopera alle mafie, è incostituzionale e noi non lo rispetteremo», dice nettamente Claudio Graziano dell’Arci. Un cartello alle sue spalle recita: «Il freddo uccide, sappiamo chi è stato». Tre giorni fa un clochard è morto a San Lorenzo: su 8 mila persone che ogni notte dormono in strada ci sono solo 2.500 posti letto del Comune, che invece di potenziarli dieci giorni fa non ha trovato di meglio da fare che procedere invece allo sgombero dell’accampamento di fortuna gestito dai volontari dell’associazione Baobab Experience.

* Fonte: Rachele Gonnelli, IL MANIFESTO



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