Si insedia Bolsonaro in Brasile, tra militari, fascisti e neoliberisti

by Claudia Fanti * | 29 Dicembre 2018 21:48

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L’insediamento di Jair Bolsonaro alla guida del Paese avrà luogo, il primo gennaio, in mezzo a una ondata di ottimismo record: secondo un sondaggio di Datafolha, è addirittura il 65% dei brasiliani a credere che la vita migliorerà sotto il nuovo governo, quasi il triplo rispetto a cinque mesi fa (prima, cioè, della vittoria del candidato neofascista).

POCO IMPORTA SE SIA L’EFFETTO della luna di miele che solitamente accompagna la nascita di ogni nuova presidenza o il perdurante effetto della realtà parallela creata dalle reti sociali, già risultata decisiva per l’esito del voto. Quale che sia la ragione, il dato non potrebbe apparire più sconcertante, di fronte alle gaffe, agli annunci puntualmente seguiti da smentite, all’improvvisazione e all’incompetenza di cui sta dando prova la ribattezzata «armata Bolsoleone».

Sono soprattutto i passi compiuti finora sul terreno della politica estera a risultare più disastrosi, rischiando di condurre il paese sulla via dell’isolamento internazionale: dalle infelici dichiarazioni nei confronti della Cina, primo socio commerciale del Paese, fino al ritiro della candidatura del Brasile a ospitare nel 2019 la Cop25 (la Conferenza Onu sul cambiamento climatico) – con tanto di possibile rottura dell’Accordo di Parigi -, passando per l’annunciata intenzione di trasferire l’ambasciata in Israele da Tel Aviv a Gerusalemme, misura poi parzialmente smentita, confermata, rismentita.

MA È STATA LA STESSA SCELTA dei ministri a rendere inspiegabile il sonno della ragione in cui sembra piombato il popolo brasiliano, a cominciare proprio da quella del ministro degli Esteri Ernesto Araújo, impegnato a dipingere Trump come una sorta di messia destinato a salvare la civiltà occidentale dal «marxismo culturale globalista» e Bolsonaro come il prescelto da Dio per porre fine al regime «corrotto e ateo» in vigore nel paese.

È l’intera composizione del governo, del resto, a riflettere, da una parte, la piena continuità con le misure ultraneoliberiste dell’impopolarissimo governo Temer (garantita in particolare dal ministro dell’economia Paulo Guedes e dal capo della Bndes, la Banca nazionale di sviluppo, Joaquim Levy) e, dall’altra, i tratti di neofascismo politico e di fondamentalismo religioso tipici dell’équipe di Bolsonaro.

Tratti espressi, oltre che dalla nutrita schiera di militari – guidata dal vicepresidente Antônio Mourão, deciso sostenitore della dittatura -, da personaggi come il ministro dell’educazione Ricardo Vélez, convinto che il golpe del ‘64 abbia liberato il paese dal comunismo e che i brasiliani siano «ostaggi» di un sistema di insegnamento mirato a «imporre alla società un indottrinamento radicato nell’ideologia marxista».

O, ancora, come la pastora evangelica Damares Alves, ministra della Donna, della Famiglia e dei Diritti Umani, la quale, oltre a opporsi all’aborto anche in caso di violenza sessuale, ha destato grande ilarità annunciando di aver visto Gesù ai piedi di un albero di goiaba.

UN COCKTAIL MICIDIALE, insomma, fatto di «autoritarismo, intolleranza, dilettantismo, ultraneoliberismo, subordinazione agli interessi imperialisti e, soprattutto, fanatismo», secondo le parole del sociologo Marcelo Zero.

Neanche si può ricondurre la speranza riposta nel nuovo esecutivo alla bandiera della lotta alla corruzione: se il numero di ministri indagati è già piuttosto consistente, è la stessa famiglia Bolsonaro a essere stata travolta da uno scandalo di indubbia rilevanza. Quello, cioè, delle transazioni sospette riscontrate sul conto dell’ex autista di Flávio Bolsonaro (nonché amico di tutta la famiglia presidenziale) Fabrício Queiroz – per un totale di 1,28 milioni di reais incompatibili con le sue modeste entrate – tra cui un versamento di 24mila reais a favore della moglie del presidente eletto.

UN CASO DESTINATO – probabilmente – all’insabbiamento, considerando come l’organo giudiziario abbia finora permesso a Queiroz di posticipare – a data da destinarsi – la sua deposizione, a causa di presunti motivi di salute.

È in questo clima che Bolsonaro si appresta ad assumere la guida del paese, in una cerimonia a cui saranno presenti solo 12 capi di Stato e di governo, tra cui, oltre a Netanyahu, illustri rappresentanti dell’estrema destra come Viktor Orbán, Ivan Duque, Sebastián Piñera e Juan Orlando Hernández, a cui faranno compagnia Tabaré Vázquez e – incredibile – Evo Morales.

Assenti il suo idolo Donald Trump, rappresentato dal segretario di Stato Mike Pompeo, e il suo nuovo amico Matteo Salvini, che, malgrado le reciproche dichiarazioni d’amore, ha fatto sapere che lo seguirà «da lontano, per non essere frainteso dalla stampa italiana».

Scontata l’assenza di Miguel Diaz-Canel e, soprattutto, di Nicolás Maduro, dal cui governo – in risposta a un invito prima spedito e poi ritirato – è giunta la seguente nota: «Si informa il ministero degli Esteri brasiliano che il Venezuela non assisterà mai all’insediamento di un presidente che è espressione dell’intolleranza, del fascismo e della sottomissione a interessi contrari all’integrazione latinoamericana e caraibica».

* Fonte: Claudia Fanti, IL MANIFESTO[1]

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