Razzismo e violenza a Milano: Scontri Inter-Napoli, ucciso un ultrà

by Adriana Pollice * | 28 Dicembre 2018 9:12

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Un ultrà dell’Inter morto dopo essere stato investito e quattro supporter del Napoli accoltellati è il bilancio dell’agguato ai tifosi partenopei mercoledì sera a Milano prima della partita con l’Inter. Un’ora prima della gara lo scontro.

La carovana di auto dei tifosi azzurri era in colonna, su mezzi «anonimi» proprio per prevenire assalti, verso il punto di contatto fissato con le pattuglie della polizia a circa 2 chilometri dallo stadio per essere scortati dentro il Meazza.

Ma i tifosi nerazzurri, oltre un centinaio, avevano pianificato l’imboscata: fumogeni, passamontagna e poi spranghe, bastoni, coltelli, martelli e persino roncole e asce, hanno dato l’assalto al gruppo in trasferta in via Novara. Un van è stato bloccato e assaltato con catene, la colonna di vetture dei tifosi ospiti si blocca e comincia la fuga.

LE ARMI RITROVATE DALLA POLIZIA

QUATTRO SUPPORTER partenopei vengono accoltellati. Dalla corsia opposta un suv di colore scuro fa inversione di marcia per andare via, finisce contromano e investe Daniele Belardinelli: il trentacinquenne ultrà, portato in ospedale mercoledì sera, è poi deceduto.

Era uno dei capi della tifoseria del Varese, gemellata con l’Inter, e membro del gruppo neonazista Blood and Honour. Sorvegliato speciale per reati connessi a manifestazioni sportive, aveva subito diversi daspo: era stato fermato per cinque anni nel novembre 2007 per gli scontri a margine di Varese-Lumezzane e poi ancora a luglio 2012 fino al 2017 per un amichevole tra Como e Inter.

A RICOSTRUIRE la dinamica dell’agguato è stato ieri mattina il questore di Milano, un passato da arbitro di serie A, Marcello Cardona: «Un fatto gravissimo, un’azione squadristica pre- organizzata». A partecipare non solo le frange violente del tifo nerazzurro ma anche gruppi del Varese e del Nizza. I francesi in particolare, hanno spiegato fonti investigative, erano a Milano «per vendetta» contro i napoletani dopo i disordini avvenuti circa tre anni fa durante un’amichevole.

Sono stati gli stessi tifosi azzurri, ha spiegato il questore, i primi ad attirare l’attenzione sulle condizioni di Belardinelli: «Cosa fate, non vedete che c’è uno a terra?» avrebbero urlato. L’ultrà è stato poi soccorso dagli interisti, che l’hanno portato a braccia nel vicino ospedale San Carlo, dove è morto nonostante una lunga operazione.

«Non sappiamo chi fosse alla guida del Suv – ha precisato Cardona – stiamo cerca di rintracciarlo ma forse non si è accorto di aver investito un uomo». Potrebbe essere accusato di omicidio stradale.

LA DIGOS STA ANALIZZANDO i video disponibili, inclusi quelli girati da chi era all’esterno del Meazza. I primi due arresti di ultras dell’Inter nel corso di una operazione condotta già mercoledì notte. Una terza persona è stata fermata ieri mattina. Rissa aggravata e lesioni tra i capi di imputazione contestati ai tre.

Sei gli indagati, dieci le perquisizioni già effettuate. «Richiederò lo stop alle trasferte dei tifosi interisti fino alla fine del campionato – ha concluso Cardona – e anche l’immediata chiusura della curva dell’Inter fino al 31 marzo 2019 (il giudice sportivo ha già decretato due gare dell’Inter a porte chiuse, ndr). Saremo durissimi, anche con i daspo. Al momento ne valutiamo almeno nove».

GIROLAMO LACQUANITI, portavoce dell’Associazione nazionale Funzionari di polizia, ha commentato: «C’è un’escalation di violenza che ha ripreso a caratterizzare gli incontri di calcio. Assistiamo a pericolose commistioni tra tifoserie diverse per alleanze estemporanee al fine di regolare conti come nelle peggiori tradizioni criminali. Ci risulta che mercoledì ci fossero ultras del Nizza così come frange estreme del tifo atalantino hanno partecipato agli scontri a Roma in occasione dell’incontro Lazio-Eintracht Francoforte». Per concludere: «È un piano per riportare gli stadi a essere ostaggio di criminali animati da interessi economici e di potere, da esercitare sotto forme di estorsioni». Secondo i dati del Viminale diminuiscono gli scontri allo stadio o nelle vicinanze ma aumentano in maniera esponenziale quelli lungo le vie di trasporto.

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Dopo la partita, neppure il campionato si ferma

The show must go on. La società nerazzurra: «Inter vuol dire integrazione, accoglienza e futuro. Chi non comprende la nostra storia, non è con noi»

Fermare o meno il match Inter-Napoli per i ripetuti cori razzisti contro Kalidou Koulibaly: la polemica è continuata anche ieri. «Gli ululati erano stati segnalati – ha spiegato il questore di Milano – dopo che gli annunci allo stadio si erano fermati. Quando il giocatore è stato ammonito, e poi espulso, a 5 minuti dalla fine, sono ricominciati. A quel punto era rischioso fermare tutto». Di parere opposto l’ex prefetto Achille Serra, rappresentante della Lega Serie A nel Comitato di analisi per la sicurezza delle manifestazioni sportive: «Cos’altro si deve fare per sospendere una partita oltre quei “buu” dell’altra sera? Gli strumenti ci sarebbero ma se non si adottano è inutile». Il presidente dell’Aia, Marcello Nicchi, non commenta: «Gli arbitri non hanno nessuna dichiarazione da fare, per ora ascoltiamo».

Il legale della società partenopea, Mattia Grassani, non si è invece tirato indietro: «L’espulsione di Koulibaly è la sommatoria di una serie di comportamenti all’interno dello stadio, dai cori di discriminazione territoriale fino a quelli razzisti. Si doveva interrompere la partita». Dall’Inter, nel tardo pomeriggio, arriva finalmente un commento: «Inter vuol dire integrazione, accoglienza e futuro. Chi non comprende la nostra storia, non è con noi».

Il presidente della Figc, Gabriele Gravina, tira dritto: «Il campionato non si ferma, ho sentito anche il governo, abbiamo condiviso che si va avanti. Il questore è nel pieno diritto di proporre provvedimenti ma le sanzioni di tipo sportivo credo spettino al giudice sportivo». E sullo stop alla partita: «C’è la possibilità che un funzionario sospenda la gara, l’arbitro non ha questa possibilità. Dobbiamo chiarire questa norma con il ministero dell’Interno».

Di parere opposto Giuseppe Pecoraro, capo della Procura Figc: «Il match andava sospeso e infatti gli uomini della Procura hanno segnalato al quarto uomo che la squadra partenopea chiedeva lo stop. Per quel che ci riguarda, è in corso la comunicazione dell’accaduto al giudice sportivo». Gravina dice che non è possibile, per la squadra che subisce i cori, abbandonare il match («violerebbe le norme»); poi attacca il patron del Napoli: «Certe dichiarazioni avevano provocato un certo clima».

È stato lo stesso allenatore del Napoli, Ancelotti, ad avvisare: «La prossima volta ci fermiamo». Il sindaco di Milano, Giuseppe Sala, interista, ha commentato: «Ai prossimi ’buu’ mi alzerò e me ne andrò dallo stadio». Il sindaco partenopeo, Luigi de Magistris, attacca: «Viviamo sempre più di razzismo di Stato». Se lo spogliatoio del Napoli si è schierato con Koulibaly (Dris Mertens scrive: «Non reagire a queste stronzate, resistiamo insieme!»), anche l’interista Icardi si è fatto sentire: «Sono deluso da quello che è successo a San Siro. Basta razzismo». Tra i primi ieri a commentare anche Cristiano Ronaldo: «Nel mondo e nel calcio ci vorrebbero sempre educazione e rispetto. No a qualunque offesa e discriminazione».

E ancora Prince Boateng: «Io sono, tu sei, siamo tutti Koulibaly». Nel 2013, quando militava nel Milan, abbandonò un’amichevole con la Pro Patria contro i cori beceri dei tifosi. Con il difensore del Napoli anche il collega di reparto della Fiorentina, Vitor Hugo, l’allenatore del Milan e il club giallorosso. Persino una bandiera dell’Inter, Sandro Mazzola, non ha dubbi: «Bisognerebbe subito sospendere le partite».

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Salvini glissa sul razzismo e scarica le responsabilità sull’arbitro

Lo stadio dell’odio. Sospendere la partita? Il ministro se ne lava le mani: «Non sono il presidente della Lega Calcio, né faccio l’arbitro e quella era una scelta che spettava a lui»

Salvini ripreso a colloquio con un capo ultras pregiudicato
Salvini ripreso a colloquio con un capo ultras pregiudicato

«Non si può morire per andare a vedere una partita di pallone» è il commento del ministro dell’interno, Matteo Salvini. «Convocherò sia le società di calcio sia i responsabili dei tifosi di tutta Italia delle serie A e B – promette -, perché il calcio torni ad essere un momento di divertimento e non di violenza. Vedremo di fare quello che non sono riusciti a fare altri».

Lo sfoggio di efficienza arriva da Pesaro, dove il leader leghista è andato ieri dopo l’omicidio del fratello di un pentito di ’ndrangheta. Assassinio conseguenza di un’evidente falla nella sicurezza. Il titolare del Viminale, poi, ha omesso del tutto di commentare i beceri cori razzisti della curva interista contro il giocatore del Napoli, Kalidou Koulibaly. E, sul tema sospensione partita, se n’è lavato le mani: «Non sono il presidente della Lega Calcio, né faccio l’arbitro e quella era una scelta che spettava all’arbitro». Dal Pd romano replicano: «Salvini non vuole prendere le distanze da quei razzisti che ogni giorno incita dai social network. Ci risparmi la frottola che debbano essere altri a dover decidere, soprattutto lui che fino a ieri pretendeva addirittura di fare l’allenatore al posto di Rino Gattuso».
L’invito al Viminale rivolto alle tifoserie fa pensare a uno scambio di cortesie visto che il 16 dicembre il vicepremier leghista ha partecipato alla festa per i 50 anni della Curva Sud del Milan, organizzata all’Arena Civica. Il ministro dell’interni si è fatto fotografare mentre stringe la mano e poi chiacchiera spalla a spalla con il capo ultrà Luca Lucci, appena scarcerato dopo aver patteggiato una condanna a un anno e mezzo per traffico di droga.

Di fronte alle polemiche, Salvini non ha fatto una piega: «Io stesso sono indagato. Sono un indagato in mezzo ad altri indagati. Questi tifosi sono persone perbene, pacifiche, tranquille». Poi però gli hanno fatto notare che Lucci usava la sede dell’associazione della tifoseria per lo spaccio, un affare condotto con bande di albanesi e affiliati alla ’ndrangheta.

Tra i suoi precedenti daspo e pestaggi: nel 2009 aggredì un tifoso interista così violentemente da fargli perdere un occhio. Solo quando il fuoco di fila di critiche è diventato ingestibile persino per un mago dei social come il leader del Carroccio, è arrivata la marcia in dietro: «Non lo rifarei», ha dovuto ammettere.
È toccato allora al sottosegretario alla presidenza del consiglio con delega allo sport, Giancarlo Giorgetti, aggiustare un po’ il tiro per conto della Lega: «Risse e agguati sono stati espulsi dagli stadi ma continuano a verificarsi fuori.

I morti, le aggressioni, il razzismo dovrebbero indurre la federazione alla chiusura al pubblico dei medesimi stadi, più che sospendere le partite. Gli oneri a carico delle società, già previsti dal decreto Salvini, gravino in modo differenziato per le società che collaborano a estirpare il fenomeno». Il veterano della Lega Roberto Calderoli, vice presidente del Senato, chiede la sospensione per un turno del campionato ma i diritti Tv non si fermano neppure con il governo del cambiamento.

* Fonte: Adriana Pollice, IL MANIFESTO[1]

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