by Roberto Maggioni * | 14 Dicembre 2018 19:21
La Procura riconosce che non c’era fine di lucro, ma per i pm volevano «conquistare consenso»
L’operazione dei Carabineri è scatta all’alba in uno dei quartieri storici delle lotte operaie milanesi degli anni ’70: Giambellino-Lorenteggio, oggi attraversato da una importante trasformazione urbanistica con l’arrivo della nuova linea 4 della metropolitana e il finanziamento europeo di un piano di riqualificazione che sconta un ritardo sui tempi previsti. Nove appartenenti al Comitato Abitanti Giambellino Loreteggio sono finiti agli arresti domiciliari con l’accusa di aver creato un’associazione a delinquere finalizzata all’occupazione abusiva di alloggi sfitti. Tra le contestazioni, la resistenza a pubblico ufficiale durante gli sgomberi.
La Procura di Milano li accusa di essersi sostituiti alle istituzioni nell’assegnazione delle case sfitte, ma – ammette – senza fine di lucro. «Bisogna riconoscere che gli arrestati non hanno guadagnato soldi, motivo per cui gli sono stati concessi i domiciliari – ha detto il procuratore Alberto Nobili – ma l’obiettivo era conquistare consenso in un quartiere difficile e allargare la base contro le istituzioni in puro stile anarco-insurrezionalista».
Niente racket dunque, che a Milano c’è ma è gestito da personaggi legati alle organizzazioni criminali. Le case che il Comitato aveva occupato per darle a chi era rimasto senza sono di proprietà dell’Aler, l’azienda regionale che gestisce gli alloggi pubblici. Si tratta di alloggi sfitti, quasi sempre non assegnabili perché da ristrutturare. Milano ha quasi 10 mila alloggi popolari vuoti: 5.800 di proprietà dell’Aler e quasi 4 mila comunali gestiti da Mm. In lista d’attesa ci sono circa 23mila persone. È in questi numeri che va letta l’emergenza abitativa di Milano dove continuano ad esserci troppe case vuote, non assegnate e non in graduatoria, e migliaia di persone che di quelle case avrebbero bisogno.
Le indagini sul Comitato partono nel marzo 2015, le iniziative degli attivisti un anno prima. Complessivamente le persone su cui sono state fatte indagini sono 75. I 9 arresti arrivano a distanza di tempo, in un clima politico mutato. La contestazione del reato associativo è una novità per le lotte di base per la casa a Milano. «Mi sembra piuttosto forzato» dice Eugenio Losco, avvocato di alcuni degli arrestati. «Dalle carte emerge che non c’è stato alcuno scopo di lucro ma, come scrive l’ordinanza stessa, gli appartenenti al Comitato erano mossi da una loro idea di giustizia sociale. Certo, l’occupazione è illegale, ma non è questo il punto fondamentale dell’inchiesta». In questi anni il comitato ha allargato le sue attività: corsi di italiano per stranieri, feste per bambini, doposcuola, una mensa popolare, la squadra di calcio Ardita Giambellino il cui capitano è tra gli arrestati. «Se ci accusano di esserci sostituiti allo Stato, all’Aler o al Comune nell’affrontare l’emergenza abitativa possiamo dire che le accuse sono assolutamente vere» dicono dal Comitato. «Rivendichiamo tutte le attività che in questi anni abbiamo portato avanti in totale autogestione, senza soldi pubblici o aiuti istituzionali, attività completamente gratuite largamente fruite dagli abitanti del quartiere». Fino a ieri mattina era attiva anche la Base di Solidarietà Popolare, la sede occupata del Comitato ora sgomberata. Le famiglie che si trovavano nelle case occupate sono state trasferite in strutture comunali e prese in carico dai servizi sociali.
«Agli arrestati sono contestati anche episodi di resistenza – spiega l’avvocato Losco – ma non c’è stata violenza, lo dicono le carte. Si è tratto di manifestazioni di solidarietà agli occupanti, non è indicato alcun contatto né violenza fisica e non sono contestate lesioni».
A Cosenza ieri sono stati notificati a 16 appartenenti al comitato Prendocasa Cosenza gli avvisi di conclusione indagini e anche per loro il reato è associativo per aver occupato case per chi ne aveva bisogno.
* Fonte: Roberto Maggioni, IL MANIFESTO[1]
IL MANIFESTO[1]
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