Licenziati il giorno di natale. O in presidio alla vigilia. 68 espulsi dalla Ball, migliaia in presidio in fabbrica

Licenziati il giorno di natale. O in presidio alla vigilia. 68 espulsi dalla Ball, migliaia in presidio in fabbrica

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Migliaia di operai passeranno i giorni di festa nel dramma totale. A dieci anni dallo scoppio della crisi, grazie anche agli effetti nefasti del Jobs act e nonostante lo sbandierato decreto Dignità, il dramma della perdita del lavoro colpisce senza distinzioni lungo la penisola nel periodo che dovrebbe essere quello dedicato alla bontà e ai regali.

INVECE DELLA LETTERINA A BABBO natale, 68 operai della Ball Beverage di San Martino sulla Marrucina, provincia di Chieti, riceveranno la raccomandata di licenziamento. La multinazionale americana che lì produceva lattine da decenni non ha voluto sentir ragioni: nessun passo indietro. Nell’ultimo – disperato – incontro con la Regione Abruzzo hanno acconsentito solo a tramutare un anno di cassa integrazione in incentivo all’esodo – 25mila euro più altre mensilità (da 8 a 13 a seconda dell’anzianità).

NON STANNO MEGLIO i lavoratori della Pernigotti di Novi Ligure. I 150 lavoratori fra a tempo indeterminato e interinali saranno in presidio davanti alla storica fabbrica di gianduiotti che la proprietà turca vuole chiudere. La loro mobilitazione in autunno aveva prodotto il blocco della procedura e la promessa di Di Maio di trovare un acquirente e garantire – come alla Bekaert la reintroduzione della cassa integrazione per cessazione cancellata dal Jobs act. Ma dal 30 novembre scorso il governo non si è fatto più sentire e l’attesa per la convocazione è snervante. La procedura di cassa integrazione è stata posticipata all’8 gennaio mentre la famiglia turca Toksoz, proprietaria di marchio e fabbrica, ha solo promesso il conferimento a una società specializzata per la ricerca di un soggetto per poter terziarizzare la produzione. La Flai Cgil fa sapere di non aver avuto «alcun riscontro neanche sulla promessa individuazione dell’advisor che dovrebbe trovare soluzioni per la reindustrializzazione del sito di Novi Ligure». Insomma: notte fonda. Come quella che passeranno domani notte gli operai davanti alla loro fabbrica per continuare la loro battaglia.

UN ALTRO ORMAI STORICO presidio operaio sarà aperto il giorno di natale. A Portovesme la tenda dei lavatori dell’ex Alcoa è in piedi da 5 anni. Da quando l’altra multinazionale americana che produceva alluminio ha deciso di chiudere. La battaglia senza sosta che ha portato gli operai del Sulcis almeno una decina di volta a Roma con i loro caschetti sbattuti per terra diventato simbolo di dignità operaia. Il gruppo svizzero SiderAlloy ha comprato l’area per reindustrializzare e a settimane dovrebbe partire il revamping – la rimessa in funzione delle celle e dei macchinari – affidato ad una ditta cinese. Ma prima che i 400 operai diretti rimasti (5 anni fa erano molti di più) e i 250 dell’indotto passeranno mesi con il rischio che la cassa integrazione non li copra.

Situazione simile alla Medtronic Invatecdi di Brescia. La lotta delle operaie – oltre l’80 per cento dei 300 dipendenti – ha bloccato la procedura di licenziamento previsto per gennaio dalla (ancora una volta) multinazionale americana di dispositivi medicali. Ora sono tornate al lavoro e hanno la certezza di rimanervi fino al 2020 mentre si cercherà una reindustrializzazione del sito. Natale a rischio licenziamento anche per la Piaggio Aerospace di Villanova D’Algenga e Bombardier di Vado Ligure – entrambi nel Savonese. Mentre l’8 gennaio dovrebbe scattare il quarto tentativo di deportazione a Catania per i 113 lavoratori di Almaviva reintegrati dal giudice del lavoro di Roma dopo il licenziamento più grande degli ultimi 27 anni di cui ieri cadeva il secondo anniversario.

CHIUDIAMO CON UNA BUONA notizia. La cui consistenza numerica però rende bene l’idea del periodo che stiamo vivendo. Pochi giorni fa alla Electrolux di Forlì sono arrivate sei assunzioni, stabilizzazioni di tempi determinati. Il successo è soprattutto di tutti i lavoratori che due anni fa scioperarono contro i «sabati comandati»: senza quella protesta che puntava ad aumentare il carico di lavoro senza assumere, i sei precari sarebbero a casa.

* Fonte: Massimo Franchi, IL MANIFESTO



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