Legge di bilancio. Trattativa Conte-Europa fino all’ultimo taglio

by Andrea Colombo * | 15 Dicembre 2018 9:53

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La trattativa per evitare la procedura d’infrazione non è ancora finita. Il presidente del Consiglio italiano è ottimista, ma Tria riparte da Bruxelles e i tecnici negoziano nella notte

È l’ultimo miglio ma non è in discesa. La tensione corre sotto pelle, tutti fanno il possibile per nasconderla, l’ottimismo resta prevalente. Ma che ci siano ancora scogli da superare per chiudere positivamente la trattativa tra il governo italiano e la commissione europea trapela da un serie di dettagli significativi. I toni di nuovo battaglieri di Salvini quando in mattinata ripete che «quota 100 non si tocca». L’ennesimo rientro anticipato di Tria, che è tornato a Roma lasciando il suo staff al lavoro con i tecnici europei.

Lo scambio di frecciate tra il leghista Giorgetti e Di Maio, col primo che definisce il reddito di cittadinanza una misura «che piace all’Italia che non ci piace» e Di Maio che replica: «A noi l’Italia piace tutta». Alcune sfumature nella conferenza stampa di Conte da Bruxelles, dopo gli incontri con Angela Merkel e con il premier olandese Mutte. Il premier conferma che mancano solo gli ultimi dettagli e che «verranno messi a punto nella notte dai tecnici». Però sottolinea che l’Italia non sta «con il cappello in mano» e che «i saldi sono quelli: non abbiamo altri margini. Non siamo al mercato».

La trattativa sembra articolata su tre fronti. Il primo riguarda i conti, ed è quello di cui si stanno occupando i tecnici di Roma e Bruxelles. La commissione vuole che l’Italia recuperi altri 3-4 miliardi. È uno dei due problemi centrali che si erano presentati dall’inizio: il deficit nominale, quel 2,4% portato ora al 2,04%, non è quel che interessa di più a Bruxelles. Il problema per la commissione, è il deficit strutturale, cioè privo delle spese eccezionali e una tantum. Su quel fronte la retromarcia italiana risolve poco.
Ieri Conte ha giocato una delle sue ultime carte. Ha chiesto la flessibilità per la riforma della giustizia civile e per i danni provocati dal maltempo. Ai governi guidati dal Pd la flessibilità è sempre stata concessa con larghezza. Negarla adesso sarebbe un segno sfacciato di pregiudizio negativo; la flessibilità aiuterebbe senza però risolvere del tutto. Le colombe, che sono poi proprio Juncker e Moscovici, probabilmente si accontenterebbero di quel che Roma ha già concesso. I falchi invece insistono e a premere sono soprattutto i governi.

È questo il secondo fronte, quello sul quale nelle ultime settimane ha lavorato il ministro degli esteri Moavero. Ieri Conte ha visto la cancelliera Merkel e Mutte. Il secondo, come prevedibile, è stato irremovibile e dopo l’incontro ha sentenziato che l’Olanda si attende che la commissione sia ferma nel far rispettare le regole. Cioè nel non concedere nulla. Merkel è più disponibile, la Germania è uno dei governi che l’Italia può considerare, nella situazione data, «amici». Ma anche lei ha avanzato una richiesta: rimettere profondamente mano a quota 100. È questo il secondo nodo nei rapporti tra Italia ed Europa dall’inizio del braccio di ferro. Nessuno a Bruxelles come a Francoforte ha mai accettato quota 100 e qui il punto dolente non è solo faccenda di miliardi in più o in meno ma direttamente politico, dunque ancor più difficile da risolvere.

Il terzo fronte è tutto italiano. Per quanto Di Maio insista nel raccontare che 7 o 10 miliardi in meno non fanno differenza, perché in principio il governo erano stato fin troppo rigoroso nei conti, la realtà è opposta. Quei miliardi devono arrivare da tagli a quota 100 o al reddito. La Lega ritiene di aver già dato. I 5S dal reddito vogliono che non sia preso niente oltre al previsto taglio del 10%, spiegato con l’auspicio che non tutti gli aventi diritto lo richiedano. È qualcosa in più di una tensione. Il messaggio di Salvini, ieri mattina, era rivolto al socio tanto quanto all’Europa. Il durissimo botta e risposta tra Giorgetti e Di Maio rivela quanto la resa di fronte all’Europa sia destinata a incidere sui rapporti tra i due partiti di governo.
Alla fine a Bruxelles dovrebbe prevalere la necessità di evitare lo scontro nel momento peggiore. È probabile che la commissione rinvii in qualche modo l’ultima parola. Magari sino a quando non saranno chiari gli esiti delle misure messe in cantiere da Roma. Ma l’ottimismo di Conte non sembra giustificato. Ieri Bankitalia ha abbassato le previsioni di crescita per il 2018 dall1,2% allo 0,9%. Per l’anno prossimo restano per il momento all’1%. Molto lontane dall’1,5 su cui conta il governo, e si tratta ancora di una visione rosea.

* Fonte: Andrea Colombo, IL MANIFESTO[1]

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