Le proteste in Albania, la novità politica del movimento studentesco
Tanti sono stati i tentativi di reclamare uno spazio per la società civile in Albania dopo la fine del regime comunista nel 1991. Solo pochi di questi hanno lasciato un’impronta, nonostante il sostegno esterno. Nessuno però somiglia al movimento studentesco sbocciato il 4 Dicembre a Tirana e propagatosi velocemente nelle altre città universitarie.
Come già Shendi Veli ha scritto sulle pagine di questo quotidiano, queste proteste sono una progressione di quelle organizzate sin dal 2015 contro la riforma neoliberale dell’università ispirata dal processo di Bologna. Essenzialmente un appiattimento sul principio di mercificazione e standardizzazione dell’istruzione diffuso su scala globale.
Per quanto ai suoi albori, il movimento ha già costituito uno spazio entro cui non solo articolare con rara chiarezza le proprie richieste al governo, ma anche delineare le premesse per costruire una vera società civile.
Il suo potenziale destabilizzante è già tangibile nel fatto che il premier Edi Rama ha sostituito sette dei suoi quattordici ministri il 27 Dicembre in un tentativo cosmetico di reagire al malcontento degli studenti, senza tuttavia rispondere alle loro richieste: una manovra non a caso già screditata per la sua vacuità.
Si tratta, innanzitutto, di un movimento autoctono, dal basso (senza alcun legame con l’élite politica) e con un’organizzazione orizzontale. Tre elementi che, di per sé, non rappresentano né una novità né una premessa di successo, se si guarda alla storia dei movimenti sociali: questi ultimi, anzi, tendono a fallire proprio quando non esprimono una leadership in grado di negoziare con l’élite o non trovano rappresentanza all’interno di quest’ultima. Restano per questo – come scrive Antonio Gramsci – “subalterni” e destinati ad essere dimenticati dalla storia. Oppure si frammentano lungo faglie di priorità e ideali differenti: una maledizione che sembra aver colpito la maggior parte dei movimenti del ventunesimo secolo, dal Medio Oriente all’Europa fino all’America del nord.
Qual è, dunque, la specificità del movimento del 4 Dicembre? Gli studenti albanesi hanno trasformato un punto di debolezza in un punto di forza, facendo dell’unità della propria agenda il pilastro dell’unità del movimento: dimezzamento delle tasse universitarie, 50% del voto degli studenti nel senato accademico e investimento del 5% del PIL nell’istruzione. È il programma che guida il movimento – non un leader – e la sua forza sta nel riflettere una domanda concreta, tangibile e urgente per una popolazione giovane e derubata del proprio futuro.
Il movimento si autodefinisce inoltre come ‘apolitico’. Anche questa non è una novità e in molti casi l’apoliticità dei movimenti, soprattutto quelli sorti negli ultimi due decenni, è la zavorra che conduce all’irrilevanza e alla disgregazione.
Tuttavia, il movimento del 4 dicembre ha usato strategicamente lo stendardo di un’apoliticità dal basso contro i tentativi di depoliticizzazione dall’alto.
L’agenda degli studenti è, d’altronde, profondamente politica nel suo sfidare i principi neoliberali e la corruzione endemica che hanno rimodellato il sistema universitario, e più in generale la società, negli ultimi decenni. Nei fatti, il movimento sta emancipando valori chiaramente di sinistra sia dal giogo della memoria della dittatura comunista, sia da quello del partito socialista attuale. Tanto per intenderci, il premier socialista Edi Rama è un uomo che di fronte alla platea della Confindustria italiana si è vantato di guidare un paese senza sindacati, bollati come “corpi intermedi da abbattere”. Non è forse un caso che in poche settimane gli studenti siano riusciti a mobilitare una parte importante della società al di fuori degli schemi tradizionali di mobilitazione partitica, costituendo una concreta minaccia alla triade oligopolistica del Partito Democratico, del Partito Socialista e del Movimento socialista per l’integrazione. Questi tre partiti dominano la sfera pubblica in Albania, derubando il paese, manipolando le elezioni e comprando i voti, senza una vera opposizione.
Rifiutando di nominare un leader che sedesse al tavolo con il governo, gli studenti hanno esplicitamente scansato i tentativi di cooptazione da parte dell’élite politica, denunciando questi ultimi come subdole manovre per dividere e neutralizzare la protesta. Rama ha tentato in più di un’occasione di dialogare con gli studenti, presentandosi da ospite inatteso nell’aula magna di diversi atenei. Rigirando ironicamente il principio che guida il processo di adesione dell’Albania all’Unione Europea – “prima soddisfa le condizioni, poi cominciamo a negoziare” – gli studenti hanno rifiutato ogni compromesso con ogni partito che abbia cercato di appropriarsi delle loro istanze. I primi esclusi sono gli studenti militanti dei partiti politici che cercano di deviare la protesta verso i propri fini, come la richiesta di un cambio di governo.
Come mai prima, inoltre, questa protesta ha visto protagoniste le donne, dall’organizzazione, alla piazza, agli studi televisivi, all’interlocuzione diretta con il premier. È una sfida diretta al maschilismo atavico della società albanese che sminuisce e disprezza il contributo delle donne nella vita pubblica.
Per questo, per le donne, la lotta per un’istruzione di qualità in Albania è una “questione esistenziale”, come dice l’attivista Gresa Hasa, ovvero “l’unico strumento che le donne hanno per emanciparsi dalla società patriarcale”.
Quello che il movimento studentesco ha già fatto in poche settimane è indicare alla società la bussola morale, distrutta prima dal regime comunista nella sua impresa orwelliana di creare l’uomo nuovo, a sua volta disorientato dall’importazione intossicante di sistemi di valori alieni dopo la caduta del comunismo. In questo, il movimento del 4 dicembre già rappresenta una perentoria emancipazione sia da modelli stranieri sia da una tendenza ad aspettare che il rinnovamento sociale venga dall’esterno dell’Albania, indicando concretamente che i valori e le priorità della società possono solo essere scoperti e definiti dai suoi membri.
* Fonte: Marina Calculli, Gjovalin Macaj, IL MANIFESTO
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