In Tunisia si infiammano le piazze, come otto anni fa

In Tunisia si infiammano le piazze, come otto anni fa

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Clima incandescente in Tunisia alla vigilia dell’ottavo anniversario della «Rivoluzione dei gelsomini», il 14 gennaio. Oggi come allora a scatenare la rivolta è stata l’immolazione di un giovane. Quest’anno, il 24 dicembre, a morire tra le fiamme in piazza dei martiri a Kasserine è stato Abdelrazak Zergui, giornalista precario di una tv locale. Aveva 32 anni, 2 figli, separato per due volte, viveva i suoi problemi nella solitudine in cui vivono gli abitanti delle regioni interne della Tunisia, abbandonate dal potere centrale.

OTTO ANNI DOPO la caduta di Ben Ali, la povertà, la disoccupazione, la mancanza di introiti del turismo di cui godono le regioni costiere condannano alla disperazione le zone che hanno dato il via alla rivoluzione. «Tra venti minuti mi immolerò, forse dopo lo stato si occuperà di Kasserine. Qui la gente muore di fame, non ha niente da mettere sotto i denti… Non siamo forse degli esseri umani? Non siamo come voi?», diceva il giornalista in un video diffuso prima di darsi fuoco.

L’immolazione di Abdelrazak Zegui ricorda quella di Mohamed Bouazizi, avvenuta a Sidi Bouzid, poco lontano da Kasserine, il 17 dicembre del 2010, perché la polizia aveva confiscato il suo carretto con la verdura da vendere. Era morto il 4 gennaio dopo una terribile agonia. La sua morte aveva segnato l’inizio della rivolta che avrebbe abbattuto la dittatura.

ANCHE LE PROTESTE per la morte di Abdelrazak non si sono fermate a Kasserine, ma si stanno espandendo in tutto il paese, fino all’Avenue Bourghiba, la via centrale di Tunisi. Lo slogan del nuovo movimento, «basta», ha sostituito il «dégage» di otto anni fa, ma anche adesso «il popolo vuole la fine del regime». Gli scontri tra le forze dell’ordine e i manifestanti sono quotidiani.

C’è chi sostiene di aver visto distribuire soldi e ricariche telefoniche ai manifestanti di Kasserine, ma non tutti i manifestanti possono essere pagati. Contro le proteste si sono scatenati gli islamisti di Ennahdha. Abdelkarim Harouni, dirigente del partito, ha annunciato alla radio nazionale di aver chiesto al capo del governo Youssef Chahed di usare tutte le forze repressive di sicurezza e anche militari per reprimere le proteste, qualificando i manifestanti come nemici del paese che vogliono distruggere la Tunisia.

Ennahdha è il maggior sostenitore di Chahed, che ha invece perso la fiducia del partito Nida Tounes del presidente Beji Caid Essebsi che l’aveva nominato nel 2016. In vista delle elezioni dell’anno prossimo, si fa sempre più duro lo scontro tra le forze laiche e quelle islamiste che si scontreranno in parlamento sulla legge per la parità nell’eredità che ha già avuto l’approvazione del consiglio dei ministri.

CONTRO UNA FATWA emessa dall’imam Ilyes Dardour che si è scagliato contro i deputati che voteranno a favore della legge è intervenuto il Mufti della Repubblica Othman Battikh che ha affermato: «Non hanno il diritto di mischiare la politica e la religione. Noi vogliamo una distinzione: la politica è una cosa, la religione un’altra». Non basteranno le parole del Mufti per calmare gli imam che minacciano coloro che voteranno la legge e invitano i loro seguaci a non votare più né loro né i loro partiti.

NON È QUESTO L’UNICO TEMA di scontro con Ennahdha, dopo la scoperta che il partito islamista aveva nascosto delle prove sull’assassinio di Chokri Belaid, assassinato il 6 febbraio 2013. Esplicito sulle responsabilità è il portavoce del Fronte popolare, partito in cui militava Belaid, Hamma Hammami. «Tutti gli elementi a disposizione mostrano che la morte di Chokri Belaid è un crimine di stato visti gli ostacoli frapposti affinché la verità non fosse rivelata. Non si tratta di ostacoli di ordine tecnico, o legati all’istruttoria, ma ostacoli politici derivanti dalla coalizione al potere (allora guidata da Ennahdha)», ha affermato Hammami. La prossima udienza davanti alla camera criminale specializzata negli affari di terrorismo si terrà il 20 febbraio.

Ma molte cose potrebbero cambiare prima di febbraio: il 14 gennaio sciopereranno i giornalisti e il 17 i dipendenti del pubblico impiego. Il sindacato Ugtt, impegnato in un braccio di ferro con il governo, rivendica il proprio ruolo storico.

* Fonte: Giuliana Sgrena, IL MANIFESTO



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