Honduras. Condannati i killer di Berta Cáceres, ma non i mandanti

by Luca Martinelli * | 1 Dicembre 2018 10:59

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Sette persone sono state riconosciute colpevoli dell’omicidio di Berta Cáceres, la leader indigena hondureña uccisa nella sua casa di La Esperanza nella notte tra il 2 e il 3 marzo del 2016. Il verdetto, emesso nel tardo pomeriggio di giovedì 29 novembre, riguarda sette degli otto accusati, Sergio Rodríguez, Douglas Bustillo, Mariano Díaz, Elvin Rápalo, Óscar Torres, Edison Duarte, Henry Hernández, che resteranno in prigione preventiva fino al prossimo 10 gennaio, quando si presume che venga comminata loro la pena detentiva. Il processo era stato aperto lo scorso 17 settembre.

Quattro dei sette condannati, secondo il giudice, sarebbero anche responsabili del tentato omicidio di Gustavo Castro Soto, attivista sociale e ambientista messicano, amico di Cáceres e suo ospite nella tragica notte dell’omicidio.

La sentenza non placa la richiesta di giustizia che la famiglia di Berta, i figli Bertha, Salvador e Laura, e il Copinh (il Consiglio civico di organizzazioni popolari e indigene dell’Honduras, organizzazione che l’attivista aveva contribuito a fondare nei primi anni Novanta e di cui era coordinatrice generale) hanno avanzato fin dall’inizio del processo: «Il giudizio che abbiamo ascoltato e che condanna il gruppo di sicari e la struttura intermedia, evidenziando le relazioni con l’impresa Desa, non significa che sia stata fatta giustizia».

Secondo la famiglia, che ha denunciato l’arbitrarietà di tutto il processo, e in particolare la difficoltà ad aver accesso agli atti giudiziari, si potrà parlare di #justiciaparaberta solo quando sarà verrà ricostruita – e portata in giudizio – la struttura di comando, responsabile della pianificazione dell’omicidio del premio Goldman 2015.

Desa, infatti, è l’azienda responsabile del progetto idroelettrico Agua Zarca, che avrebbe imbrigliato le acque del rio Gualquarque, sacro agli indigeni lenca, una diga contro la quale Berta e il Copinh avevano concentrato le proprie azioni di protesta negli ultimi anni.

«Ciò che il processo ha reso evidente – sottolinea un comunicato stampa congiunto dei familiari di Cáceres e del Copinh – è che la famiglia Atala Zablah, che è azionista di riferimento di Desa, deve essere considerata responsabile di tutte le azioni di persecuzione, intimidazione, attacco e di tutte le minacce che hanno portato all’omicidio di Berta Cáceres».

Grazie all’azione di un gruppo di esperti internazionali, la famiglia ha avuto accesso alle chat WhatsApp utilizzate per la pianificazione dell’omicidio, come ha ricordato la figlia Bertha Zuniga in un editoriale uscito su El País alla vigilia della sentenza.

* Fonte: Luca Martinelli, IL MANIFESTO[1]

photo: Daniel Cima [CC BY 2.0 (https://creativecommons.org/licenses/by/2.0)], via Wikimedia Commons

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