Global compact. Parte in salita la conferenza Onu sull’immigrazione
E’ una conferenza che si annuncia a dir poco in salita quella che si apre domani a Marrakech, in Marocco, e che porterà all’adozione del Global compact dell’Onu sull’immigrazione. Una difficoltà dovuta soprattutto alla lista di Paesi che hanno già dichiarato di non voler aderire all’iniziativa e che per questo diserteranno l’appuntamento. Italia compresa, con il governo giallo verde che pur di non assumere alcun impegno in tema di migranti ha preferito rinviare ogni decisione al parlamento (che chissà se e quando discuterà del Global).
Nato da un processo avviato a settembre 2016, durante il primo summit Onu interamente dedicato alla questione migratoria, il Global Compact for safe, orderly and regular migration, l’accordo Onu su migrazioni «sicure, ordinate e regolari» muove i suoi passi dalla Dichiarazione di New York approvata in quella sede, per poi arrivare, tra consultazioni e riesami, alla versione ufficiale pubblicata lo scorso luglio.
NON TUTTI gli stati membri delle Nazioni Unite sottoscriveranno l’accordo. Il primo rifiuto è stato quello degli Stati uniti guidati dall’amministrazione Trump, seguiti da Australia e Israele. In Europa, oltre all’Italia, non firmeranno i paesi del gruppo Visegrad – Ungheria, Repubblica Ceca, Slovacchia e Polonia -, l’Austria, la Slovenia, la Bulgaria e la Svizzera. Le maggiori critiche avanzate dagli oppositori fanno riferimento alla presunta intromissione dell’Onu nella gestione nazionale dell’immigrazione, oltre a lanciare un generico allarme sul favoreggiamento dell’invasione a scapito della difesa dei confini.
In realtà, il Global compact for Migration non è un documento vincolante, dunque gli stati non si troveranno di fronte ad alcun obbligo e la sovranità nazionale è ribadita nei suoi principi fondativi: «Il Global Compact riafferma il diritto sovrano degli stati nel definire le proprie politiche nazionali in materia di immigrazione all’interno della propria giurisdizione, in conformità con la normativa internazionale». Si tratta quindi di una piattaforma composta da principi condivisi, elencati in 23 punti, per mezzo dei quali si mira a sollecitare la cooperazione tra stati in ambito migratorio, senza tralasciare il controllo dei confini, come specifica il punto 11. Linee guida dunque, che indicano approcci e possibili azioni da compere: il compito di tradurle in pratica spetta però agli stati.
L’ACCORDO, che si fonda sulle norme già previste dal diritto internazionale, si snoda su diversi livelli: l’attenzione va dalle cause delle migrazioni, per cui si esplicita la necessità di ridurre i fattori per cui le persone lasciano il proprio paese, all’analisi delle modalità con cui i e le migranti si spostano, proponendo da una parte di incrementare le possibilità di viaggi regolari e dall’altra di organizzarsi in modo coordinato per il soccorso delle persone, in un’ottica comune che mira a «affrontare e ridurre le vulnerabilità nella migrazione». Il documento si concentra poi sul processo di inserimento nel paese di ingresso: si sottolinea la necessità di poter contare su dati accurati per creare da una parte politiche basate su nozioni reali, e dall’altra promuovere un discorso pubblico fondato su elementi concreti, eliminando le forme di discriminazione che poggiano su percezioni stigmatizzanti. Si sollecitano i paesi a «facilitare il riconoscimento delle qualifiche» e a «creare condizioni affinché i migranti contribuiscano pienamente allo sviluppo dei paesi di arrivo», nell’ottica della «piena impiegabilità dei migranti nel mercato del lavoro».
LE MISURE detentive non vengono accantonate, ma ne si sollecita l’uso solo in ultima istanza, lavorando nel frattempo all’individuazione di alternative.
Il testo, che da una parte può essere interpretato come un possibile punto di partenza, dall’altra non si sgancia dalla retorica che in questi anni ha accompagnato il discorso pubblico e le politiche generali sull’immigrazione, essendo frutto di negoziazioni. Non si superano alcuni concetti, come la detenzione delle persone, e l’inserimento dei migranti nel paese di arrivo passa soprattutto dal mercato del lavoro, dando spazio a un approccio economico e neoliberista piuttosto che culturale. Ciononostante, il documento è il primo tentativo intergovernativo di abbracciare il concetto di migrazione come diritto per tutti, garantendone l’universalità al di là di distinzioni tra persone e tra categorie: pur mantenendo separati rifugiati e migranti, nel preambolo il Global compact riconosce come entrambi i gruppi siano sottoposti a sfide comuni, muovendo un primo passo verso il superamento di una visione divisiva e dicotomica.
Di una cosa il Global Compact sembra tenere conto: dell’impossibilità di frenare i processi migratori, da cui scaturisce la necessità di provare a gestirli. «La migrazione ha fatto parte dell’esperienza umana nel corso della storia e riconosciamo che è una fonte di prosperità, innovazione e sviluppo e che questi impatti positivi possono essere ottimizzati migliorando la governance della migrazione».
* Fonte: Serena Chiodo, Lorenzo De Blasio, IL MANIFESTO
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