Non va meglio se si parla di diritti umani. «La situazione nel mondo è bruttissima», prosegue Rufini ricordando come negli ultimi anni in alcuni Paesi sia stata ripristinata la pena di morte e intere categorie di cittadini, come migranti, minoranze etniche e donne vengono private dei loro diritti.
A guardare i quadro generale c’è da mettersi le mani nei capelli a cominciare proprio dalle persecuzioni subite dagli attivisti per i diritti umani. In Colombia, ad esempio, in media ogni tre giorni ne viene ucciso un attivista. In Egitto, nel 2018 le autorità hanno incarcerato almeno due attiviste per i diritti umani, sottoposto a divieti di viaggio almeno altre sette e disposto il congelamento dei beni nei confronti di altre due. Altre otto attiviste sono state arrestate in Arabia Saudita da maggio 2018 e si trovano ancora on carcere senza che nei loro confronti sia stata contestata un’accusa. E non va certo meglio in Iran, con 43 attiviste in prigione solo per aver difeso i diritti delle donne. Non va certo meglio per le persone Lgbt, discriminate in 71 Paesi che ancora considerano l’omosessualità un reato.
Il 2018 è stato anche l’anno con il più alto numero di giornalisti morti in Afghanistan dall’inizio del conflitto nel 2001, mentre in Yemen milioni di persone sono a rischio a causa della carestia e quasi 17.000 civili sono stati uccisi o feriti dallo scoppio della guerra. Il conflitto in Sud Sudan, con sette milioni di persone che necessitano disperatamente di aiuti umanitari e protezione, rimane invece una delle crisi più ignorate nel mondo.
* Fonte: Marina Della Croce, IL MANIFESTO